domenica 26 marzo 2017

LE IMPRONTE DEL DOLORE


Non dovremmo mai seguire le impronte del dolore,
né percorrere la linea d'aria dell'odio
senza fermate intermedie per riflettere,
perché allora arriveremmo allo scontro
senza attenuanti qualunque fosse la ragione
della nostra sofferenza, senza poterci
tirare più indietro.

Si dice con linguaggio sonoro che non
vogliamo perdere la faccia, che troppo
già abbiamo sopportato, che non si può sempre
offrire l'altra guancia a chi ci assale
da tergo, a chi ci sovrasta con la sua potenza,
a chi ci preme la testa sotto una sua scarpa
con violenza, con rabbia, con sadismo.

Ma nemmeno vogliamo soltanto perdonare
e dimenticare chi ci ha offeso,
nemmeno possiamo voltare altrove la faccia.

Allora è senza uscita questo vicolo cieco
fangoso e oscuro, allora conviene battersi
ed esaurirsi in una lotta senza quartiere
destinata a non avere mai fine

perché quelli di noi che non sopravviveranno
potranno contare sui figli, sui nipoti,
che prenderanno il loro posto
e che questo sia il senso del progresso
o della decadenza non è motivo
sufficiente di ripensamento o di dubbio,

perché non ne abbiamo il tempo, perché questo
è oramai un lusso che non
ci possiamo permettere, e combattere si può
senza sapere per cosa. Lo abbiamo sempre
fatto, lo facciamo ogni momento. 


***
Maximiliansau, 13 marzo 2017

***






8 commenti:

  1. Di porgi l'altra guancia, sinceramente, ne ho le scatole piene.
    Perchè sempre i soliti a porgere l'altra guancia? Perchè sempre i soliti a bastonare?
    Posso anche perdonare ma dopo che ci saremo scontrati e magari spiegati
    Ciao Vincenzo. Buona domenica

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    1. Si trattasse almeno soltanto di guance! Il fatto è che qui pretendono che si porgano anche le guance di quella faccia che teniamo al coperto nei nostri pantaloni, non so se mi segui.

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  2. Accettare tutto supinamente non si può. Ed io credo che sapremmo anche per cosa staremmo lottando. Come sempre i tuoi versi non possono lasciare mai indifferenti ma anzi ti emozionano e ti fanno sempre riflettere.

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    1. Non si deve. Certo che lo sappiamo, Daniele, di più colti ai meno eruditi, lo sappiamo tutti per cosa DOVREMMO lottare, ma tu sai come siamo...molta ignavia, molto pressappochismo, molta indolenza e molto "vai vanti tu che a me viene da ridere". Fare sempre una gran cagnara dal fondo della sala mescolandoci ben bene per mimetizzarci con la tappezzeria. Però...però noi siamo quelli delle cinque giornate di Milano, delle dieci di Brescia, delle dieci di Napoli, combattenti nche senza speranza. Siamo artisti anche in quello, improvvisatori, mai capaci di pianificare. Mio fratello che combatté in Russia mi raccontava di quando in trincea sul Don ghiacciato i soliti napoletani, durante la lunghissima pausa del 1943, cantavano a squarciagola o sole mie e i russi dall'altra sponda si affacciavano come a teatro ad applaudire. Adesso mi sono incartato. Mi commuovevo sempre quando me lo raccontava. Aveva 23 anni e i capelli che se ne andavano da sotto l'elmetto.
      Grazie per le tue bellissime parole.

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  3. Ma la vita " é " una lotta continua, che lo si vogla oppure no. Battaglie perse e battaglie vinte, anche per lo sceicco dell'Arabia saudita e anche per quegli ignavi e indolenti che cercano sempre di svicolare o d'incolpare gli altri. Tanto di cappello a coloro che lottano per gli altri, come tuo fratello.
    Sono sempre stata un tipo accomodante ma ora, sarà anche l'età, mi sono liberata di alcune formalità volute dalla gente 'bene".
    Esempio: l'altro giorno suonano alla porta e trovandomi davanti il prete per la benedizione pasquale , gli ho detto che non gradivo perchè non ho nessuna fiducia nella chiesa e nei loro riti propiziatori ; mi ha detto che avremmo potuto parlarne, ma ho cortesemente rifiutato e, poichè sapevo che sarebbe venuto, ho preso una busta con degli euro che avevao preparato . Non me l'aspettavo, ma lui ha avuto la dignità di rifiutarla.
    Non so, forse ciò che ho detto non ha senso come risposta alle tue osservazioni.
    Cri

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    1. Un senso ce l'ha e come. Ti ammiro, sai per aver fatto quello che io non ho avuto il coraggio di fare. Doveva essere il 1971, l'ultimo mio anno di Italia. Non avevo la minima idea che sarei approdato qui, ma le avvisaglie già c'erano di qualcosa di grosso che stava per accadere. Nel giugno dell'anno precedente mi era nato il primo maschio; in agosto era morto improvvisissimamente mio padre; mi stavano crollando addosso tutte le scadenze della mia ditta di piante di giardinaggio e non avevo una lira perché il mio socio aveva fatto bancarotta e non mi poteva aiutare. Mi ero venduto la casa, alcuni gioielli, la Mercedes 280 coupé. Stavo sballando. Avevo assegni per 3 e 4,5 milioni in scadenza. Se non li avessi pagati mi davano due anni come minimo, perché ero incensurato. Fu allora che arrivò il parroco coi chierichetti. Io lo avrei bruciato vivo, ma vidi gli occhi di Anna Maria. Pensai a mio figlio, a lei, alle bambine e lo feci entrare. Sapevo che AM ci teneva. Gli ho anche dato una busta coi soldi, che si è immediatamente preso. Non mi sono fatto benedire. Mi ha guardato storto.
      Solo un mese dopo, pagati i due assegni corposi, il 24 maggio sono partito per la Germany, sicuro che sarei tornato in un paio di anni. Sto ancora qui, come ben sai.
      Neanche questo so se abbia un senso come risposta al tuo commento.

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