Abbiamo guardato la Formula Uno fino all'erroraccio di Vettel, poi per farci passare l'amaro dalla bocca, siamo andati a Jockgrim dove c'è una gelateria italiana rinomata.
Io non mangio gelato, quindi facevo da accompagnatore.
Usciti dal locale coi gelatoni in mano -loro- mi sono accorto che tirava un vento schifoso e che minacciava pioggia.
"Vado a prendere il mio pullover nella macchina, ho detto; torno subito".
Il parcheggio davanti al locale era pieno e noi avevamo lasciate la due macchine circa a duecento metri, in mezzo ad un piazzale alberato.
Ho attraversato il piazzale passando sui prati fino alla macchina. Ho preso il pullover, lo ho indossato e mi sono trovato la mia borsa che mi scivolava dalla spalla lungo il braccio sinistro; la mano destra occupata dagli occhiali da sole, ed ho incominciato a camminare badando a queste cavolate e non a dove mettevo i piedi.
Sotto gli alberi le radici avevano rotto il suolo, ricoperto da mattoni di grande spessore che qua e là si erano vistosamente sollevati. Con la punta del piede sinistro ho urtato uno di questi ostacoli.
Immediatamente sentendo che cadevo in avanti ho allungato la gamba destra per puntellarmi, ma col piede destro ho beccato un maledetto mattone ancora più sporgente del primo e sono venuto giù come un pero. "Gefallen auf die Fresse" dicono i tedeschi, e cioè caduto sul grugno. A terra solo mattoni sporgenti, niente prato ed io giù di faccia.
Ho capito che mi si aprivano le porte dell'Ospedale per almeno un mese se battevo la faccia: setto nasale, zigomi, mascellari superiori mandibola, denti e chissà se non anche qualche vertebra lesa.
Allora ho abbassato la testa per salvare la faccia, non certamente per l'estetica ma per la consegueze. Non avevo più il tempo di proteggermi con le mani, anche se l'ho fatto, perché oggi sento dolori al polso sinistro, all'avambraccio destro ed ho scoperto
dolori e sbucciature ad entrambi i ginocchi.
Non posso dire di essermi fatto male, perché non mi sono fatto male dove ho battuto, ma ho sentito una defragrazione in testa come lo scoppio di una granata.
L'anno del malaugurio, l'anno infame non è ancora finito.
È stato il mio primo pensiero.
Due secondi dopo ho alzato la testa ed ho visto le cascate del Niagara. Veniva giù sangue come quando sgozzano i maiali.
La mia fortuna è stata che accanto alle nostre macchine aveva parcheggiato un signore molto capace e pratico. È arrivato di corsa ed ha fatto tutto lui quello che non ero in grado di fare io: ha chiamato l'ambulanta del pronto intervento, con le garze della sua cassetta di printo intervento -che ho anche io, come tutti- mi ha tamponato e mi ha aiutato a sedermi per terra, ed ha aspettato fino all'arrivo della croce rossa, insieme ai miei che intanto erano arrivati, allarmati dalla mia asenza.
Si chiama Tobias e lo trovo quando sono a posto per stringergli la mano.
Corsa con l'ambulanza fino all'Ospedale di Kandel, dove si sono dati da fare per mettermi in piedi.
Ho due ferite parallele di quattro e sei sentimetri, suturate con undici punti, esattamente dove il frontale si unisce i due parietali, alla cosiddetta fontanella lamboidea.
Un giovane medico del Guatemala, che conosceva Roma per esserci stato una serie di volte ha lavorato sulla mia capoccia per un'ora. Bravo e spiritoso.
Almeno è finita in gloria.
Sono tornato con mio figlio mentre Anna Maria tornava con la mia macchina guidata -oh signur- da mia figlia a 140 sull'autostrada.
Ringraziando Iddio non è uscita di strada.
Io ho mangiato una zuppetta e poi sono andato a letto.
Mi frega un dolore boia che ho al collo, destra e sinistra, per l'insaccata presa. Tenuto conto che ho un rincipio di spondilosi non ci posso scherzare.
Comunque è andata, poteva finire molto peggio.
Sono decisamente un po' intronato ma ci vedo, ci sento, non ho vomito, insomma non ho commozione cerebrale.
Posso considerarmi soddisfatto, ma adesso ne ho la palle piene di questo anno del malanno.