lunedì 23 luglio 2018

QUANTO COSTA UN GELATO A JOCKGRIM

A mio figlio hanno finalmente tolto il gesso al braccio e può di nuovo guidare senta incorrere in contravvenzioni, così mercoledì parte per l'Italia. Così, da bravo ragazzo, domenica pomeriggio è venuto a salutarci. 
Abbiamo guardato la Formula Uno fino all'erroraccio di Vettel, poi per farci passare l'amaro dalla bocca, siamo andati a Jockgrim dove c'è una gelateria italiana rinomata. 
Io non mangio gelato, quindi facevo da accompagnatore.
Usciti dal locale coi gelatoni in mano -loro- mi sono accorto che tirava un vento schifoso e che minacciava pioggia.
"Vado a prendere il mio pullover nella macchina, ho detto; torno subito".
Il parcheggio davanti al locale era pieno e noi avevamo lasciate la due macchine circa a duecento metri, in mezzo ad un piazzale alberato.
Ho attraversato il piazzale passando sui prati fino alla macchina. Ho preso il pullover, lo ho indossato e mi sono trovato la mia borsa che mi scivolava dalla spalla lungo il braccio sinistro; la mano destra occupata dagli occhiali da sole, ed ho incominciato a camminare badando a queste cavolate e non a dove mettevo i piedi.
Sotto gli alberi le radici avevano rotto il suolo, ricoperto da mattoni di grande spessore che qua e là si erano vistosamente sollevati. Con la punta del piede sinistro ho urtato uno di questi ostacoli. 
Immediatamente sentendo che cadevo in avanti ho allungato la gamba destra per puntellarmi, ma col piede destro ho beccato un maledetto mattone ancora più sporgente del primo e sono venuto giù come un pero. "Gefallen auf die Fresse" dicono i tedeschi, e cioè caduto sul grugno. A terra solo mattoni sporgenti, niente prato ed io giù di faccia. 
Ho capito che mi si aprivano le porte dell'Ospedale per almeno un mese se battevo la faccia: setto nasale, zigomi, mascellari superiori mandibola, denti e chissà se non anche qualche vertebra lesa.
Allora ho abbassato la testa per salvare la faccia, non certamente per l'estetica ma per la consegueze. Non avevo più il tempo di proteggermi con le mani, anche se l'ho fatto, perché oggi sento dolori al polso sinistro, all'avambraccio destro ed ho scoperto
dolori e sbucciature ad entrambi i ginocchi.
Non posso dire di essermi fatto male, perché non mi sono fatto male dove ho battuto, ma ho sentito una defragrazione in testa come lo scoppio di una granata.
L'anno del malaugurio, l'anno infame non è ancora finito.
È stato il mio primo pensiero.
Due secondi dopo ho alzato la testa ed ho visto le cascate del Niagara. Veniva giù sangue come quando sgozzano i maiali.
La mia fortuna è stata che accanto alle nostre macchine aveva parcheggiato un signore molto capace e pratico. È arrivato di corsa ed ha fatto tutto lui quello che non ero in grado di fare io: ha chiamato l'ambulanta del pronto intervento, con le garze della sua cassetta di printo intervento -che ho anche io, come tutti- mi ha tamponato e mi ha aiutato a sedermi per terra, ed ha aspettato fino all'arrivo della croce rossa, insieme ai miei che intanto erano arrivati, allarmati dalla mia asenza.
Si chiama Tobias e lo trovo quando sono a posto per stringergli la mano.
Corsa con l'ambulanza fino all'Ospedale di Kandel, dove si sono dati da fare per mettermi in piedi.
Ho due ferite parallele di quattro e sei sentimetri, suturate con undici punti, esattamente dove il frontale si unisce i due parietali, alla cosiddetta fontanella lamboidea.
Un giovane medico del Guatemala, che conosceva Roma per esserci stato una serie di volte ha lavorato sulla mia capoccia per un'ora. Bravo e spiritoso.
Almeno è finita in gloria.
Sono tornato con mio figlio mentre Anna Maria tornava con la mia macchina guidata -oh signur- da mia figlia a 140 sull'autostrada.
Ringraziando Iddio non è uscita di strada.
Io ho mangiato una zuppetta e poi sono andato a letto.
Mi frega un dolore boia che ho al collo, destra e sinistra, per l'insaccata presa. Tenuto conto che ho un rincipio di spondilosi non ci posso scherzare.
Comunque è andata, poteva finire molto peggio.
Sono decisamente un po' intronato ma ci vedo, ci sento, non ho vomito, insomma non ho commozione cerebrale.
Posso considerarmi soddisfatto, ma adesso ne ho la palle piene di questo anno del malanno.












 

giovedì 19 luglio 2018

OHNE TITEL

Con questa concludo la mia fase "fasata". Mi dedicherò ad un progetto lasciato in sospeso per assenza materiale dell'autore, cioè me, per dubbi sopravvenuti in aggiunta ai già esistenti, perché mi costringo a camminare su una corda tesa su un precipizio e sospesa tra due montagne indomabili: il Credere ed il Non Credere.
Argomento che hai voglia ad escludere e a rimandare, torna sempre a galleggiare.


SENZA  TITOLO


Sul mare rosso
scintillava un morto
della precedente battaglia.
Sul retro di una ricetta avevo
scritto quattro versi a matita della vicenda.
Affondarono con la nave
nel mezzo di un anno poco felice.
L'incubo si assottigliò
fino a passare attraverso la cruna
di un ago ligneo, ben affusolato.
Ridacchiando osservavo
dall'alto dell'albero maestro;
l'elenco dei marinai defunti
in quella notte prese la forma
di un uccello migratore.
Non fu più ritrovato.
Al mattino galleggiava
solo il cadavere del marinaio ignoto
unico testimone di un destino compiuto.


15   06   18









mercoledì 18 luglio 2018

SENTIVO ANCORA L'INFLUSSO

Probabilmente sentivo ancora l'influsso dei monti e dei vigneti e delle notti trascorse nel più assoluto e miglior silenzio, ma subito ciò che scrissi erano due poesie. Questa la prima:


DEA   RISORTA


Nidi d'erba dolenti
ti attorcigliavi tra le dita, ansante
dopo veloce corsa,
attendendo.
Certo nessuno degli antichi dei
saliva quassù per rivederti
una volta ancora,
tossicchiante,
affannata,
ignara di destini,
bagnata
di luna
fresca, 
imperscrutabile, 
figlia del tempo;
tu stessa
inizio e fine
del tuo
tempo avido.
Caduca la tua divinità
se la gente va di corsa.


13   06   18




martedì 17 luglio 2018

DÜW 221 ULTIMO DELLA SERIE

Fatevi coraggio: è proprio finita. L'ho scritta la mattina del 9 giugno, appena finito di fare il trollerone. Poco dopo sono andato a pappare la mia ultima colazione.


DÜW   221   XXXIII



Uno squillo acuto ha colpito
me al centro del cuore
come un petardo acuminato.
Un archetipo ligneo dov'erano inserite,
consacrate e sconsacrate,
le sembianze dei miei antenati
fuggevoli e fisse
stratificate a seconda dei loro bisogni,
le più lontane le più amiche,
le più vicine le più indifferenti, apatiche
e strafottenti. Nemmeno le avessi
cercate in un campo di grano
a metà luglio e scelte in base all'oro
delle spighe avrei potuto
contaminarmi così efficacemente
strappando la spiga dal gambo
insensibile a tutto,
apparentemente soddisfatto di essere
privato della sua produzione più selettiva.
Così finiscono gli amori, cadono
le speranze, e le suppliche al cielo
di chi ancora crede vengono sbarrate 
a metà strada, deviate tutte
in in metifico stagno
dove pullulano mosche, insetti e ragni.
"Pro bono malum",
scrisse l'altissimo poeta in calce al suo poema
che parlava di dame e cavalieri, di cortesie,
di audaci imprese
e di cervelli migrati sulla luna.
Ai tempi nostri scappano
tutti all'inferno e ivi giacciono muti, 
non sanno di latino né di egizio
nobilitati solo dal silenzio
della dimenticanza.


09   06   18







lunedì 16 luglio 2018

DÜW 221 SIAMO AGLI SGOCCIOLI

Effettivamente il quadernone dove ho trascritto -anche troppo in fretta secondo i miei gusti e adesso faccio fatica a decifrare- tutto quel che potevo in quelle due settimane si sta esaurendo. Restano solo pagine bianche.
In un certo senso è un piacere, quasi una liberazione. Ci avevo pensato, gli ultimi giorni del mio soggiorno, quando avevo deciso di pubblicare sul blog giornalmente queste trentatrè poesie, e mi ero detto che sicuramente a parecchi di voi avrei usurato i testicoli, anche a chi per motivi naturali ne era privo.
Fatevi forza, stanno finendo.


DÜW   221   XXXII


Ci siamo rivolti ginocchioni a Cristi,
Madonne e Santi, ai martiri innominati,
solitari o in massa,
alle monache vergini per salvarci
da pestilenze, colera e siccità
amiche del demonio e dei suoi accoliti,
seguaci imperturbabili e sempre più
trionfanti. Poi vennero le guerre da trenta,
cent'anni e più: la mano che ci proteggeva
parava frecce e massi infuocati, rialzava
torri distrutte, mura abbattute e ponti levatoi
da noi stessi bruciati per impedire
il transito. Poi nuove pesti e nuove epidemie
che riempivano carri a trazione bovina
tirati per le corna da superstiti
pallidi, esangui come svenati,
il puzzo di marcio a ricordo
per decenni. E poi finalmente finiva;
e poi ricominciava imperterrita la moria
di vittime sacrificali, nate durante la notte,
crepate all'alba. L'evoluzione
della vita creava l'evoluzione della morte.
Malattie impensabili legate a lussuriosi
amplessi mietevano spighe reclinate lasciandole
marcire nei campi. Unico rimedio infischiarsene
e continuare a gozzovigliare e a godere
di notte per poi crepare al sorgere del sole.
Ma che nessuno invochi Cristo, l'impostore,
nessuno chieda a lui il perché dell'abbandono.
È questo imperterrito Dio che ha abbandonato
gli uomini, o sono loro ad avere
abbandonato Dio? Altre divinità, sorte dal nulla
nel frattempo, con estrema violenza
si impossessarono dell'empio mercato.
La manona protettiva non copre più
mura millenarie e torri, non serve nemmeno
ai ponti levatoi, nemmeno ai bunker
di cemento armato, sotterrati e blindati
con lastroni di piombo contro le radiazioni
delle testate atomiche perforanti fino
a centinaia di metri di profondità.
Ma già qualcuno sperimenta la micidiale
arma furura: sciami di droni personalizzati
scaraventati a milioni sui territori nemici
da macchine volanti in orbita da est a ovest,
da nord a sud, che si bloccano dopo avere
trovato il soldato Rayan a cinque centimetri 
dalle sue tempie, scaricandogli dentro
la testa una pallottola calibro nove grande
quanto un fagiolo. E poi via di nuovo
alla ricerca del soldato Stakanovic
individuato nel miniaturizzato computer interno
di ogni drone ben educato e attento.
Risparmio di danaro e di energia, non diffusione
disordinata e incontrollabile del full aut.
Questo si chiama PROGRESSO, Anna Maria.
Non era nel progresso che volevamo vivere e morire?
Ora siamo serviti: una scala reale
e buona notte.



08   06   18






sabato 14 luglio 2018

DÜW 221 FORSE ANCORA UN'ALTRA

Il programma che mi è stato da poco consegnato finisce al 9 di giugno. Sta sgocciolando il tempo che resterò qui ed è ora che inizi a fare la mia valigia, un pezzetto per volta onde non ingolfarmi. Vediamo un po' se hanno ragione le donne a dire che noi uomini "da soli" non siamo capaci di concludere niente.


DÜW   221   XXXI


Forse ancora un'altra, poi basta,
mi andavo ripetendo nella testa
mentre correva la mano al tovagliolo,
alla Parker, a scrivere parole,
enunciare cose. Al pensiero mi esalto
di coniugare insieme sgorbi
e magici colpi di pennello,
strusciate di spatola unta d'olio
sopra superfici metalliche, su legno,
su compensato essiccato, curvato a fuoco,
su stoffa, su tela di ragno, su nulla,
sui miei pensieri belli, sulla tua fragile speranza,
sulla tua voglia di fuggire,
di nasconderti al fato,
di reprimere sbadigli e bestemmie,
incontinenza e l'immaturità di sentirsi
sublime, trionfale, nella parola e nel segno,
nello svolazzo e nella penitenza.
Fra poco si spegneranno
tutte le luci; ognuno di noi cercherà
di covare l'uovo d'oro dal mito
sperando che sia l'ultimo
a produrre vivacità di suoni,
luci e fulgori come scoppiettanti
fuochi d'artificio
ripetibili poi dopo all'infinito.
Segni suoni e parole che si arrampicano
su dal nulla per emergere e imporsi
a tutto quel che prima di loro fu creato.
Rispettosamente li sorreggiamo
finché volino in alto in una
ebbrezza nuova, gonfia di venti nuovi e di promesse.


07   06   18







giovedì 12 luglio 2018

DÜW 221 INIZIATI GLI ULTIMI GIORNI

L'ultima settimana non finisce mai. C'è la tristezza di dover abbandonare nuove amicizie, paesaggi che non conoscevi così belli, c'è anche la gioia di tornare al tuo viver solito, alla tua intimità, agli angoli che conosci millimetricamente.
Ma in fondo in fondo ti dispiace andartene.
Lo ammetto: ci tornerei domattina.
A piedi.


DÜW   221   XXX


Simultanee immagini occupano negli occhi
gli spazi conquistati dalla memoria
sempre attenta, pronta a catalogare, a imprimere,
a riesumare alacremente.
Genitori deserti, fratelli con le loro
gioiose storie e crudeli, sorelle
mai nate e forse per questo
così desiderate. Treni e trenini e gite
con la canna della Viscontea in mezzo
al sedere - il pedalatore mio fratello,
i miei piedi non toccavano i pedali - mia madre
alla finestra sempre attenta e preoccupata.
Tutto si muove ancora e sempre, tutto ha un senso
prossimo, tutto ha una ragione e il sapore 
dentro la bocca di pane fresco.
La tristezza è che adesso tutto scorre
sul telone ben teso nel cinema Traiano
della edizione della LUCE, poi diventata
SETTIMANA INCOM prima sempre del film, alla fine il PROSSIMAMENTE QUI SU QUESTO SCHERMO,
sempre in bianco e nero
con commenti sobri sulle vicende belle
della Patria in riposo. Fuori la Topolino,
col motore che era più della metà della macchina,
che aspetta di riportarti a casa per la cena.
Dentro, il viso bellissimo dell'attrice
che sorride, gli occhi nell'obiettivo, e si spoglia, 
ma solo a metà. Poi l'immagine sfuma
nella delusione di tutti.
FINE DEL PRIMO TEMPO,
la scritta che campeggia. Si sono già accese tutte
le luci nella sala.


06   06   18





mercoledì 11 luglio 2018

DÜW 221 QUANDO LA PASSIONE OSSESSIONA

A stare troppo soli si prende di muffa antica. Soprattutto quando il sonno non arriva mai a fare il suo lavoro: addormentarti.
E allora ci sono le corse delle bighe dentro la tua testa: dalle prime corse in automobile decappottabile e a bordo una ragazza che si reggeva i capelli svolazzanti con entrambe le mani lasciando andare la gonna mostrando tutto dei suoi segreti, e allora il tuo sogno proprio lì si concentrava coi ricordi convulsi accumulati negli anni universitari con la collega ungherese, con la quale avevi programmato un ripasso di anatomia patologica.


DÜW   221   XXIX


Voce di donna che copriva di velluto
l'aria che ci avvicinava, complici e innocenti;
muschio fresco di primo mattino
il tuo alito che si inerpicava in spirali di voglie
arrampicate fin su, sopra il mio tetto,
ove la solitudine imperava da quando
l'ultima volta ci avevi dormito tu appena sfebbrata
di quella febbre antica che si chiamava,
allora come adesso, desiderio di te, di me, di tutto
quello che si arrivava a immaginare
solo pensando la parola "amore", solo alludendo:
dammi il tuo fiele, dammi il tuo veleno;
liquefami il tuo respiro e il mio, sopra
la superficie della tua lingua e della mia,
in una malta incolore, inodore, insapore
che ingoiavamo insieme, misura miracolosa
dei tuoi ormoni più intimi e dei miei
spermatozoi più recettivi e mobili; da riprovarci
poi mille volte anche solo per il gusto
di risentire lo schiocco delle nostre
lingue intrecciate quando dischiudevamo
le labbra per succhiare aria per un attimo,
breve e infinito, ed iniziare da capo
un nuovo assalto ancora
più miracoloso. Il sibilo del respiro
affannoso tra i nostri denti; l'erezione
furibonda e incontrollabile che palpitava in me
dalle caviglie fino ai testicoli,
testimoni impavidi delle tue cosce
inattive e voraci nel guizzo estremo
della penetrazione fattasi muscolo e sangue,
battimento e convulsione estrema, appassionata
fino al sussulto incontenibile nello spasimo
di un abbandono contemporaneo,
folle, che si appaga già del ricordo
che lentamente affievolisce, amore.


06   06   18






DÜW 221 LA MATERIA PRIMA SCARSEGGIA

Mi accorgo che il materiale ancora a mia disposizione di quello accumulato a Bad Dürkheim si stia esaurendo. Non mi dispiace, anzi. È stato un periodo della mia esistenza, ancorchè breve ma intensamente approfondito mentalmente. Credo mi abbia giovato sotto vari aspetti. Ha creato una breccia. Ci posso infilare un braccio ed una gamba. Non voglio di più. Mi basta di rimanere così infilato a metà dentro questo nuovo spessore di vita, che ignoravo.


DÜW   221   XXVIII


Sempre cercai versi che colpissero in mezzo
agli occhi, che facessero male,
che spezzassero incantesimi,
unissero cielo e terra,
diabolico e santità
senza risparmiare oltraggi né consolazioni.
E mai ne fui sazio.
La mia prima poesia è datata 1951.
Liceale esperto di metrica di Orazio, Virgilio
e Catullo, di alcmani e trimetri 
trocaici, narrai la prima storia d'amore
con una fanciulla intravista dalla mia finestra
tutte le sere dopo le diciassette
quando tornava dalla sua lezione
quotidiana di piano.
Moriva improvvisamente il mio grande amore
imperituro e io l'accusavo
di non avermi avvertita:
"e tu sei morta senza dirmi nulla".
E per lei immaginai in chiusura
il più efficare verso onomatopeico
che mai più scrissi:
"Ora, senza di me, che farai?
Dove andrai? Nessuno
udrà più la tua voce, e forse pel freddo
i tuoi candidi denti tintinnano".
Oppure la purezza espressiva di quando
incominciai a scrivere per te,
subito dopo averti conosciuta,
carne preziosa, inviolata e incorruttibile,
ma le parole restano volutamente
solo nel mio ricordo e nel tuo,
ed ancora non ho immaginato
di scrivere l'ultima riga
e la più lunga.


06   06   18

lunedì 9 luglio 2018

DÜW 221 QUANDO TUTTO TI SI RITORCE CONTRO

Arriva il momento in cui tutto sembra andarti storto, e tu ti chiedi a chi hai pestato i calli. Ma non c'è verso che tenga: la prua della barca ha imboccato il sentiero della schiuma che puzza, ed il timone non governa più; non solo, uno dei due remi si è spezzato, lo scafo mostra crepe antiche e stiamo imbarcando acqua.
Adesso stai a vedere che non abbiamo a bordo nemmeno un secchiello per versare l'acqua fuori bordo.


DÜW   221   XXVII


Loredana Bonafè era nata cavalcando.
A sua madre era stato sufficiente
sollevarsi sulla sella, fare un piccolo sforzo
e opplà, attenzione a non fare scivolare
lungo i pantaloni da cavallerizza
il roseo corpicino,
perché sua madre cavalcava a piedi scalzi
e pertanto rischiava che rimanesse 
appesa al cordone ombelicale la sua bambina.
Non l'aveva ancora guardata
ma sapeva che era una femmina
perché non aveva ancora protestato
appesa là sotto a testa in giù.
Cavalcava anche mentre dormiva
Loredana Bonafè, cavalcava anche quando 
dormivano tutti.
Cavalcava cantando e dormendo,
e mentre cavalcava cantava e dormiva
lei scriveva trattati di propedeutica
e fischiettava canzonacce sporche.
Una fresca mattina iniziò a scrivere
un testo biblico di ornitologia perché da tempo gli uccelli
le cinguettavano dentro la testa.
E scrisse e scrisse, ed arrivò ai Vangeli
ma tornò indietro alla creazione di Eva, ché Adamo
già si era riempito i piedi di calli
e di vesciche, non avendo l'abitudine
di cavalcare. E poi non trovò il cavallo
adatto a lei, povera anima in pena.
Non riuscendo a immaginare niente per il futuro
Loredana provò ad inventarsi il passato,
suo e degli altri, ma più che altro il suo
e vide quando e come e perché
era caduta dal suo primo cavallo,
scivolando a balzelloni lungo le cosce di sua madre.
Appiattita al suolo, pestata dal cavallo
che folle di paura le orinò addosso cercando
di eliminare il pericolo di contaminazione
e di epidemia. Al cavallo andò bene,
un colpo di fortuna dietro l'altro;
a Loredana la sorte fu maligna
lasciandole emicranie a volontà,
e una gran voglia di scendere dal cavallo
e di risalirvi una volta discesane.
Così per tutta la sua vita, a metà strada
tra la sella e il suolo, finchè sparì
come era arrivata, senza lasciare ricordi
né imitatrici più o meno scaltre di lei.



06   06   18





domenica 8 luglio 2018

DÜW 221

A volte si passa il tempo a lambiccarsi il cervello per trovare idee da far passare il tempo più in fretta, ma non arriva un straccio di idea nemmeno a farti prendere a calci nel deretano. A volte le idee ti saltano addosso che tu non sai più dove infilarle, e poi alla fine ti sembrerà sempre di aver dimenticato le migliori.


DÜW   221   XXVI


Palmina Ruschova si infilò tra la folla
strattonandone molti arrivati
in quella piazza rattrappita tra case
di pietra grezza e di tronchi d'albero segati.
Arrivò di fronte alla giovane donna
cui avevano legati i polsi e denudato il ventre
già teso e gonfio. Palmina pronunciò
l'unica parola che conosceva di quella lingua
a lei nemica: "Puttana".
Fu chiaro allora a tutti chi fosse
il padre del bambino che lei covava:
Rinaldo De Bartolomei, costruttore di cocchi,
realizzatore di macchine da guerra,
maestro d'ascia. Palmina per due anni
e un stagione estiva era stata
sguattera da strapazzo, amante a tempo perso
del De Bartolomei e adesso il giudice
pretendeva dalla donna pregna come un otre
di grasso liquido che confermasse
l'accusa di Palmina, pena trenta frustate
e un anno di torre al caldo e al gelo.
De Bartolomeo era padre e sposo e di nobile lignaggio.
"Partorirai tuo figlio da sola senza aiuti.
Forse il bambino morirà per colpa tua".
Ma Cornelia D'Alessio tacque.
Si prese le frustate e dopo un anno
si portò a casa avvolta di luridi stracci
una bambina unta e puzzolente
non ancora battezzata,
che avrebbe chiamato Addolorata,
destinata a morire di peste qualche anno dopo.
Ma mentre varcava la soglia della sua bicocca
Cornelia cantava felice alla libertà
riconquistata e non pensava a Rinaldo
che le dissero ucciso a tradimento
in un vicolo da mano ignota.


05   06   18



venerdì 6 luglio 2018

DÜW 221 RACCONTI DELLA NOTTE

Molte volte il sonno non arrivava mai. Forse per effetto del silenzio quasi assoluto che c'era in quei corridoi, forse per nervosismo, dato che capitava un po' a tutti.
Chi contava le pecore, chi i montoni, chi leggeva libri, chi fissava il soffitto. Io mi raccontavo storie, che inventavo lì per lì.
Qualcuna mi convinceva a trascriverla nel mio quadernone.
Credo fosse questa una di quelle che mi ha dato l'idea di una poesia.


DÜW   221   XXV


Quando Secondiano Polimeni realizzò
di essere diventato incontinente
era ormai prossimo all'impotenza
ma non lo aveva ancora nemmeno sospettato.
Riempì subito di stracci e ovatta un solido
paio di mutande e sopra indossò
tutti gli indumenti che quella forma avessero,
mutandoni di lino, pantaloni di lana pesante,
anche maglioni indossati al contrario, 
infilando le gambe dentro le maniche, tanto
aveva gambe scheletriche;
insomma tutto quel che riuscì a trovare
nella vecchia soffitta, là dove
veniva raccolta la roba
decrepita destinata ai poveri della parrocchia.
Non venne in mente a Secondiano che così
aumentava la stazza e il perimetro
del suo ventre e che avrebbe dovuto rifornirsi
di nuovi pantaloni che potessero doverosamente coprire
quel che poteva bastare per una 
Compagnia di Alpini in missione all'estero.
In poche ore tutte le sue mutande
si inzupparono di urina, che al contatto
con quelle stoffe stravecchie finirono
col macerarsi in liquame pestilenziale,
data la difficoltà per Secondiano,
come per ogni altro uomo, di arrivare
ad afferrare il suo arnese per evacuare
all'aria libera almeno i resti delle sue
reiterate pisciate
come gli era riuscito di fare fino a poco prima.
La prima volta che si decise ad accostarsi
di nuovo a Maddalena, la compagna della 
sua vita, la madre dei suoi cinque figli,
per un casto orgasmo matrimoniale,
fece un bagno caldissimo, sfregò reni, natiche
e cosce con uno spazzolone irto e puntuto,
ma giunto al dunque, mentre lei già accortasi
della difficoltà in cui suo marito si era cacciato
cercava di aiutarlo, imponendogli la sua manona carnosa
sul glande. Ne ebbe dopo un po' una manciata
di pelle e peli sgocciolanti sudore e un liquido
incolore dall'odore inequivocabile di piscio.
L'urlo che la derelitta gettò a quella
amara e terrificante scoperta, piombò
Secondiano nella disperazione, perché
fino allora, intento ad annusare tutto intorno
nel terrore del puzzo di orina
che oramai aveva messo radici nel naso
da cui uscivano fronde palpitanti,
non si era reso conto dello squallore
mortalmente diffuso di quello che era stato
il suo vanto e il suo orgoglio
di maschio. Eccolo ora, ridotto ad una mammellona 
di vacca, un otre vuoto sgocciolante, 
un monito, un tentativo abortito,
una minaccia per l'Umanità.
Da quell'istante Secondiano Polimeni
considerò del tutto inutile il suo vagabondare
nei territori della sua casa, dei suoi possedimenti,
scalò e si arrampicò fino alla soffitta.
Gli mandarono i viveri con la carrucola
turandosi il naso perché oramai che viveva
da eremita di se stesso il tanfo imperava.
Per ottantasei giorni interi
mangiò e bevve Secondiano. Poi morì.


04   06   18











giovedì 5 luglio 2018

DÜW 221

Perfino da vecchiette non perdono la loro femminilità. È arrivata per ultima al nostro tavolo numero 34 e già si è appropriata della posizione migliore, all'esterno, dove non deve fare troppa fatica per arrivare a sedersi, dove ha a portata di mano il contenitore per infilarci con grazia i suoi due bastoni. L'unica difficoltà per lei consiste nell'arrivare ai tovaglioli, che sono piazzati davanti a me, alle posate, anche a me davanti, e con le sue braccine non la la forza sufficiente per tenere ferma in bilico la caraffa del caffè. Eccola allora che non si sforza affatto, che con occhi supplichevoli invoca una mano, che nessuno le nega, anzi ci manca che non facciamo a botte per chi le versa per primo il beveraggio.


DÜW   221   XXIV


La scaltrezza delle donne:
mai dire sì con entusiasmo al primo
appuntamento; mai dire no all'ultima chiamata.
Conosca solo lo specchio su nella camera
le espressioni del volto e l'aria assente
di chi è in attesa facendo
finta di nulla.
A fianco a questo la conoscenza
istintiva, selvaggia, del maschio
che annusano da lontano 
quando appena sono bambine.
Sperimentano sul padre e sui fratelli
le loro arti e provano l'afficacia dei propri
poteri, la capacità di sparire
alla vista, di mimetizzarsi, di trasformarsi
da predatrici a oggetto di preda altrui
in modo da smontare fin dall'inizio
la diffidenza e da demolire
le barricate inalzate dal maschio,
che così, senza difesa alcuna, cadrà
in una pentola 
di cottura a fuoco lento.


03   06   18



mercoledì 4 luglio 2018

DÜW 221 MOSCERIN'S

Alla sera i pochi audaci e non in preda al sonno, rimanevano ad occupare le panchine esterne, illuminate dalle poche lampade affollate di moscerini. Per fortuna che qui le rondini volavano basse a livello lampione facendo una scorpacciata di moscerini -porelli- che non facevano in tempo a capire che si trattava di inganni e crepavano come appunto moscerini.
Se fosse vero che tutti si rinasce vorrei tornare Moscerin nummer One e mettere su una scuola istruzione per la sopravvivenza dei Moscerin's e poi ti farei vedere quante rondini dovrebbero far fagotto ed espatriare.


DÜW   221   XXIII


Onbre della sera che marciano imperterrite
come pioppi impettiti, soldati di un'armata
sconfitta ma non demolita.
tribù che si trascina al guinzaglio
tutte le cose brutte del mondo e le migliori
storie di ogni famiglia,
la dignità inalzata a vessillo
in mezzo al branco
dei nemici incolti e sbeffeggianti.
Non ci tocca il loro sarcasmo.
L'onore è salvo, intangibile, chiuso nelle
uniformi dei morti  e nella loro
compostezza. Dalle legioni
romane, che qui si accamparono,
agli invasori violentatori di vergini
che facevano cercare dai cani
dentro le buche delle bombe,
niente è cambiato, tutto resta
sospeso nell'aria, come il silenzio di ordinanza
che dà inizio agli stupri.
Mai più guerra precipiti sulla pelle
delle genti di queste nazioni
impurificate dall'odio,
pensarono i padri fondatori.
Nobile l'intento, ma poi tutto
si rimescolò: colore della pelle, credo
religioso, usi e costumi, e parole mai pronunciate
solcarono l'aria e fu la fine di un sogno.


02   06   18

martedì 3 luglio 2018

DÜW 221 PASSEGGIANDO PIANO PIANO

Passeggiando coi piedini si arriva alle Salinas ed al parco che è stato fatto su misura per tutti quelli che lo vogliono scoprire. Incantevole la pulizia e l'ordine tipicamente teutonico, ma sempre miracoloso considerando la moltitudine di mocciosi che si immergono nell'acqua del torrente intorno al quale hanno costruito il parco. Non sguazzano sguaiatamente ma passeggiano lievi lievi senza nemmeno sollevare schizzi. Mummificati?
Passeggiando col pensiero come faccio io si scavalcano le colline pendule di viti in pieno sviluppo e l'aroma già ti fa girar la testa.


DÜW   221   XXII


In vetta alle colline della prima via del vino
del Palatinato sta piantata una chiesina arzilla
piena di promesse. Difficile è arrivarci:
erta la strada e sdrucciolevole, hai sempre
il senso del ruzzolone a ritroso mentre arranchi
passettino dopo passettino alla ricerca
dell'orizzonte diverso, dello sguardo
all'infinito inaspettato.
Un comignolo che accoglie una campana,
tetto di lavagna come quasi per tutto, dalle falde
dei vigneti ai tetti quaggiù. Ecco da dove
viene il suono ogni alba, il mistero
è svelato. Dall'alto ci si adagia
un cielo blu cristallo, mentre nuvole irrispettose
salgono l'erta dall'altra costa. Saranno
all'opera nel pomeriggio, innaffieranno
tutto con dovizia. Nuvole tedesche che hanno preso
alla lettera il proverbio italiano "aprile
ogni goccia un barile"; ma loro testardamente
lo tireranno avanti tutta l'estate
finché sia l'ora della prossima
vendemmia a rendere
fulgido d'oro l'ambrosio del Müller Thurgau.


02   06   18

lunedì 2 luglio 2018

DÜW 221 RIPENSANDOCI

Come si fa, davanti a un sugherello sbiadito e poco intrigante, a non pensare alla bella pappata di spaghetti dove il pomodoro ti si appiccica al palato e ti fa scivolare consensienti gli spaghetti tutti in fila come fanti, uno dietro e gli altri avanti, mentre gli occhietti santi ti mostrano le più recondite stelline del firmamento?
Cucina mediterranea: minchia che goduria!


DÜW   221   XXI


Insalata russa, pecorino romano primo fiore,
ragù alla bolognese, un nobilissimo
Chianti "Gallo Nero" scollinante
per i pendii del senese,
e un forte caffè ristretto, magari
da stare in fila mezzora 
per fartelo servire.
Questo mi manca, e due
bastoncini da piazzare sotto le palpebre
che mi impediscano
di chiudere gli occhi, come mio padre
al fronte a Conca di Plez,
quando montava di guardia in trincea
dopo la mezzanotte.
Poi lui dormiva per almeno due ore
sognando montagne
di spaghetti e polli alla diavola
e cosce di ragazze polpute
da infilarcisi in mezzo e ruzzarci felice
quel bel gioco che ancora oggi
fa godere il figlio,
dondolandolo tra nuvole color carne
e odori inconfondibili.


01   06   18