lunedì 26 novembre 2018

OBOE NASCOSTO

Un oboe gracida i suoi lamenti
sul mio prato. Una melodia
di singhiozzi e imprecazioni,
un assolo che fluttua
e si nasconde a fior di terra.
Vedo la sua musica piegare
gli steli immaturi dell'erba,
zigzagarci dentro, sparire
nell'aria che l'attira
sempre più in alto, fino ad essere
impercettibile, quasi evanescente
come il rumore dell'ala di una colomba in volo
che pur vedo agitarsi in equilibrio
di una muta sonorità dentro lo spazio
tagliato dal suo ritmico battito.

A noi tutti occorre l'applauso
degli elementi naturali ad ogni nostro gesto,
al divenire di ogni movimento
per definire e compiere la nostra parabola.
Guai se così non fosse. Cosa resterebbe
oltre il respiro rumoroso, l'ansimare
costante, la lacrima che scende lungo il viso
ricoperto di pelle desolata, stanca
e avvizzita fin dalla nascita?
Cosa rimarrebbe a noi carnivori
da masticare e deglutire nella stanchezza
di giornate incollate le une alle altre
in un imperterrito, monotono
risucchio del tempo, che equivale
a frammentare l'esistenza in un ingorgo
di fatti accaduti, di vaticini
dei tanti che accadranno
vuoti e spolpati della loro fibra?

L'oboe continua la sua nenia dolorosa,
come di chi voglia far finta di nulla,
di passare inosservato, come un rivolo d'acqua
che di sasso in sasso saltella fino al fiume
che lo aspetta con impazienza
per portarselo via.


Maximiliansau 26 novembre 2018

sabato 24 novembre 2018

SOGNANDO


Da molte notti nel sonno immagino
una casa lontana, una donna ansiosa
che attende, bambini scalzi
accanto al fuoco, un cavallo gagliardo
dentro alla stalla.

Mi alzo, scendo nel garage
e avvio il motore della mia Opel.
Sono pronto a partire, ma stanotte
tornerò a sognare il mio cavallo baio
che attende nella stalla,
i miei bambini poco vestiti
accanto al fuoco, mentre la madre
pettina loro i capelli.

È la mia vecchia vita,
una delle mie prime, rimasta dentro
l'armatura di ferro battuto
appesa alla mia lancia nel cortile.

Domani riprendo la nuova vita che ho lasciata
al volante della mia Opel,
nel garage riscaldato con aria condizionata.


Maximiliansau, 24 novembre 2018

giovedì 15 novembre 2018

FRANCOFORTE GRADITO RITORNO

Mancavo da Francoforte dal 15 novembre del 1979, e sono oggi trentanove anni esatti; ieri erano trentanove meno un giorno.
Avevo lasciato una città di cui conoscevo anche i vicoli, la sua aria di quasi metropoli sonnacchiosa che si svegliava soltanto dopo le ventidue a Sachenhausen, il quartiere dei tremila locali, delle luci rosse, delle bevute infinite, delle scopate sulle due sponde del Main, delle cazzottate furiose tra nativi e americani, tra americani , militari e no, coi nativi a fare il tifo e a scommettere come forse solo nei Far West classici, con il suo straordinario dialetto che si impara subito basato sullo strascicamento del gruppo "sch" presente quasi dappartutto nella lingua teutonica, e allora via ad una sfilza di mischhhhhh, dischhhhh, sichhhhh e tutte le musichette annesse e connesse. Soprattutto la città dove vivevano circa mezzo milione di persone, allegre e scansonate in un ambiente semi antico, da città riesumata dalle rovine dei suoi quasi duecento bombardamenti aerei alleati.
Conoscevo tutti i negozi della Zail, la via dove era proibito circolare in macchina o col tram -niente rotaie, strappate via dopo la guerra, lunga oltre mille metri- e naturalmente tutte le commesse carine, belle, bellissime e bellocce dei suddetti locali.
Mangiavo sempre alla sera nel ristorante da Piero, un'istituzione per tutti, non solo per tedeschi, coi camerieri, rigorosamente 'e Napule, vestiti in smoking con pantaloni sempre neri naturalmente e giacche variamente colorate ogni giorno della settimana: giallo limone il venerdì, senape il mercoledì, azzurre il lunedì, rosse il martedì, blu oltremarina giovedì, viola il sabato e verde prato alla domenica.
Sembrava che i russi non venissero mai, che gli americani non finissero mai i loro dollari, che gli italiani fossero realmente felici di essere italiani all'estero.
Ogni terza divisa americana imbottiva un negretto come un salsiciotto dentro il panino; e poi le MP femmine, negre e bianche, le negrette ostentando sempre culi meravigliosi come solo la gente di colore possiede, dove tenevano appoggiato il manganello, e tutti noi gelosi di quei manganelli depositati proprio nel mezzo delle dorate chiappe.
Un sogno adesso, una promessa di un mondo guidato da MP donna dopo il dovuto trapasso, che so, magari le custodi dei Lager.
Ci sono ritornato ieri a Francoforte con mio figlio ed Anna Maria, per ritirare la mia carta d'identità nuova, nel Consolato Italiano.
"Ma come ha fatto a dimenticare la data di scadenza?" Mi chiede l'impiegata. "Si dimenticano mica quelle cose lì". "Avevo in mente il 2018, invece era il 2016". "Adesso non potrà mai dimenticarlo. Guardi qui: scade il 9 febbraio 2029. Veda di non scordare il giorno del suo compleanno". 
Dieci minuti ed era tutto finito.
Ma non vedevo l'ora di soffermarmi a guardare ciò che avevo appena intravisto arrivando in macchina: una città incredibile, una città americana, un'altra città diversissima da quella che conoscevo.
Eravamo nei pressi della Bockenheimer Landstrasse, centro della city. Lungo la Taunus Anlage, vicinissimi alla Alte Theater Platz, la zona dove passavo la metà delle mie serate gloriose, e non riconoscevo niente. Al posto delle vecchie case una serie infinita di grattacieli come a Manhattan, tutti sui 40 o 50 piani; pareti di immensi finestroni, con nei piani bassi vetrate grandissime di colore scuro, certamente per schermare il sole anche d'inverno.
Insomma questi qua hanno rivoltato la capitale dell'Essen come un calzino. Pensare che mi trovavo esattamente nei pressi dei giardini della Guillotin dove una quindicina di anni fa avevo ambientato la storia del mio primo romanzo "Martedì dopo l'autunno", e non ci capivo niente. Dove stanno i giardini? In mezzo ai grattacieli sembravano microscopici e invece li ricordavo enormi. Dov'è il Polizei Presidium? Stavamo percorrendo a piedi la Mainzer Landstrasse e lo vedevo là in fondo come chilometri lontano.
Tutto a misura merregana, li possino a sti comunisti!  
Ci fermiamo a mangiare qualcosa in un locale di lusso vicino all'Alte Theater. Qui i clienti sono tutti impiegati di concetto. Vestono tutti eleganti vestiti, cravatte scure ed indossano tutti cappotti tre quarti scuri. Ma quello che è rimasto invariato è l'eleganza delle francofurtensi. Lo avevo già notato ai miei vecchi tempi: le donne di Francoforte sono le uniche tedesche che camminano come le italiane di Roma e di Milano, e come le parigine. Nemmeno a Berlino o a Monaco di Baviera le signore sono così disinibite e leggere e camminano col garbo delle donne di Frankfurt am Main.
Beh, io avevo la mia, friulana di razza, che da quando la conosco ha sempre avuto quel leggiadro modo di danzare camminando, anche con pancione. Lei a Francoforte nessuno l'avrebbe mai scambiata per una signora crucca di Berlino, di Köln, di Hamburg
o di Norimberga: alta, slanciata, occhi azzurri, capelli fulvi ecco una di noi, avrebbero pensato.
Sono stato benissimo ieri, tutto il giorno ad anche Anna Maria, glielo leggevo sul viso. Lei è ancora come era tanti anni fa: si esalta in certi ambienti.
Ho deciso di tornarci per una settimana, ma nella tarda primavera, perché questa città d'inverno è freddissima.


*****


sabato 10 novembre 2018

SETTECENTOVENTI


Mi sono avviato al nuovo anno
con un cuore già più antico,
le scarpe nuove di coppale
per il ballo finale della notte
di San Silvestro.

E poi scoppi pure la guerra
atomica il giorno dopo, 
trenta anni di carestia,
un decennio di siccità,
di malattie veneree, 
che cosa importa

purché io passi le ultime ore
di quest'anno, che 
maledicendo tutto scompare,
a strapazzar lenzuola
con l'ignota signora mascherata
dalle natiche opulente
e dalle cosce calde
avvinghiate ai miei fianchi.

Che è valso inaridire
oppresso da rinunce dolorose,
da castità coatta, rifiutando
alcooli estremi e sigari cubani?
Invece fedeltà, orpello di schiavitù,
rinunciare al trionfo della
libidine dei sensi, strozzare l'urlo
che ti brucia dentro le carni
più inaccessibili, dimenticate,
occulte oramai perfino a te stesso?

Non ci sarebbe stato
alcun bisogno
di tirarla avanti
così a lungo
se si fosse trattato
solamente
di rispettare le regole.
Ma quali?
Le vostre, illiberali,
tiranniche,
ottuse e cieche?
Stare dentro o fuori?
Rimanere incolonnato,
cieco e muto,
in un pigiama a strisce
dentro un reticolato,
oppure se tenti
la ribellione sei dannato?

Vivere da morto,
per esser chiari,
biascicando preghiere,
odi e salmi, 
ovverosia bestemmie
tanto chi distingue le sillabe
in un murmure soffocato?

Ah, non fossi mai stato
generato, se questo era il prezzo
da pagare: l'indifferenza, 
la sopportazione silenziosa,
la testa sempre china,
il giogo sulla gobba
per un tozzo di pane
e una caraffa
d'acqua dove
navigano mosche.

Ma vi è andata male.
Questa è la vita che
mi sono costruita
controvento,
contro tutto
contro voi.
Le scarpe nere di coppale
sono pronte,
pronta è la signora
vorace, si avvicina
l'ultima notte dell'anno,
la più attesa,
quella che più di tutte
in queste notti ho sognato.


*****
Maximiliansau, 10 novembre 2018

Questo è il mio Post numero 720

domenica 4 novembre 2018

CARI AMICI VI SCRIVO NUOVAMENTE PER DIRVI CHE SONO TORNATO.....

Certamente, sono tornato con un giorno di anticipo. Anche qui, da quando Angela Culgrandioso ha aperto a tutti i migranti, hanno dovuto ridurre le uscite, tra cui -tutto il mondo è paese- in prima fila quelle sanitarie. Quindi degenze ridotte al minimo e niente più buoni taxi. Insomma se ti viene a prendere qualcuno OK, altrimenti il taxi te lo paghi, caro onesto contribuente. 
È andato tutto bene, come posso constatare. Mi hanno rivoltato come un calzino di un vecio alpin dopo una escursione in alta quota con zaino pieno, fucile e scarponi titanici. Turatevi quindi il naso. 
Cominciando dalla mattina appena svegliato, con la pesa su una bilancia che segna il grammo, continuando con una scarica di gocce di vario tipo e genere prima e dopo il Frühstück, ricominciando appena riportata indietro la Tablette coi resti ed i vuoti; e si ricomincia con la misurazione della tensione interna - la oculipressio - e di nuovo gocce e controlli ed analisi fino al Mittagsessen, intorno alle 11,30; pace di un paio d'ore perché anche i medici ospedalieri hanno un cuore ed uno stomaco vuoto; si ricomincia con nuove gocce e controlli del visus e diavolerie varie fino all'Abendsessen, il cosiddetto Abendsbrot con formaggi e salumi vari da spalmare su fette di pane due o tre ed una camomilla. Di nuovo gocce, che dopo tre giorni hai fatto una piscina dove potresti nuotare; ultimo controllo alle 19,30 e poi libero di saltare dalla finestra oppure di andare a letto poco dopo le ventuno, tanto non succede più niente. Oh gaudio!
E alle sei e mezza di nuovo si ricomincia. Oh che sorpresa, che beatitudine solenne.
Eccetto il venerdì dove mi viene prima fatto un EKG al cuore ed una simile azione alle due carotidi per vedere se funzionano come si deve. Le mie lo fanno.
Di ritorno da cardiologia mi stanno aspettando in OP di Oculistica.
Mi tolgono tutto tranne i calzini, mi mettono un camicione aperto di dietro -vietato  toccare, prego- mi mettono su una sedia a rotelle e mi conducono al piano -1.
Le sale operatorie stanno tutta sotto terra, chissà perché.
Siamo quindici in attesa, tutti con una benda ad un occhio. Per certezza che il chirurgo non cappelli, viene applicata una pecetta con una lettera L (links o sinistro) oppure una R (rechts o destro) sull'occhio ove intervenire.
Per circa venti minuti un infermiere passa da ciascuno di noi con una seria di gocce -e daje- e ci riempie l'occhio che interessa ai chirurghi. Alla fine fa chiudere l'occhio e passa tra le due palpebre una specie di cagata di vacca incolore ed inodore, che deve essere una colla, che impiastriccia tutto e non ti fa quasi più aprire quell'occhio benedetto. Ancora oggi, due giorni dopo, duro fatica a togliere residui.
Alcune di quelle gocce erano un Betäubung, un anestetico narcotizzante.
Infatti dura un niente, forse due o tre minuti: mi fanno distendere su un tavolo operatorio; immensa luce bianchissima dentro la pupilla 
ago incolore che penetra, esce ed una voce mi dice che è finita, mentre due mani robuste mi aiutano a raggiungere la mia sedia a rotelle.
Tutto qui.
Il pomeriggio altre visite.
Sembra tutto a posto e mi dicono che l'indomani mattina posso tornare a casa.
Vengono tutti e bastava soltanto il guidatore, ma va bene tutto, adesso.
Saluto i due conquilini che domani dovranno essere operati.
Alle due del pomeriggio sto a tavola a casa mia che mangio finalmente un piatto di spaghetti al sugo come dio comanda.
Poi scoppia la guerra: hanno organizzato tutto loro e si va a casa della sposa, mia nipote Cristina, a chiacchierare ed a fare la cena alla francese, cucina Kim suo marito, che cucina benissimo e stappa per l'occasione una bottiglia di Châteauneuf-du-Pape del 2012, annata trionfale. Ne ha alcune bottiglie per momenti speciali.
Grazie Kim.
Alla salute di tutti, noi e voi che mi leggete.


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