venerdì 23 marzo 2018

COME VOLEVASI DIMOSTRARE

Il carosello non è ancora incominciato, ma i bimbetti pestiferi puntano già i piedi e fanno le bizze.
Chi imprudentemente se ne era fidato ed ha votato M5S si dovrebbe adesso amputare la mano con cui ha messo la croce sulla scheda elettorale.
Eccoli gli incompetenti, che promettono l'impossibile raccogliendo barili di voti in mezzo ai soli che li capiscano, gli scansafatiche sparsi un po' dovunque, ma in particolare da Napule in giù; eccoli i primi della classe che alla primissima occasione -anzi all'anteprima, la prova generale si dice in gergo teatrale- si impuntano e fanno gli aut aut a Berlusconi, facendo cadere un minimo approccio di intesa con cui concludere l'elezione dei presidenti di Camera e Senato: che poi sia ben chiaro che io in linea di massima potrei essere d'accordo sull'esclusione del caimano, ma non così stupidamente. Il principio della Democrazia, che i seguaci del buffone genovese ignorano, è tentare sempre di trovare un'intesa soprattutto quando non hai i numeri e quando non hai nessunissima credibilità.
Da perfetti imbecilli loro invece chiudono porte in faccia, spengono le luci in galleria  vanno avanti da soli. Ma quanto siete povera cosa! Due sono i vincitori del 4 marzo e due sono le presidenze a disposizione, e allora dividetevele ed incominciate a mostrare la vostra capacità, obiettività e spessore politico.
Nada. Nada de nada. C'è un precipizio e verso quello marciano e all'estero, dove ci aspettano coi fucili spianati, loro fanno e fanno fare agli elettori italici la figura di merda che compete solamente a loro.
Aspetteremo mesi per avere un governo e forse, sottolineo il forse, Mattarella dovrà fare un governicchio di pezza per mettere in piedi una nuova legge elettorale ed indire nuove elezioni, mentre questi arroganti frati mestatori urleranno al sacrilegio.
Mai più incompetenti e somaroni al potere. Ma voi, sì voi che li avete votati vi eravate illusi che fossero migliori perché avevano comperato tutta una serie di cravatte?
E credevate nel buffone genovese? Ma guarda?
Una domandina sola: ma chi di voi andrebbe a comperare un'auto usata nell'autosalone di Beppe Grillo a Genova, o di Luigi Di Maio a Napule?

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domenica 18 marzo 2018

CHIARIMENTO

Ho voluto cancellare il mio post cruento perché la questione aveva sforato la normale buona educazione. Io per primo non mi credevo capace di scendere tanto in basso, ma a quanto pare sono in grado di farlo e me ne vergogno. Non cerco scuse: ubi minor major cessit.
Ma certe affermazioni mi hanno costretto a diventare un numero di coda.
Un'esperienza che non dimenticherò.
Non mi lascerò mai più trascinare in simili diatribe che procurano solamente morti e feriti, riuscendo a riesumare cadaveri strapuzzolenti ed obsoleti.
Chiunque è libero di postare un commento a questo post, ma io -e me ne scuso anticipatamente- non risponderò.
Una tranquilla nottata a tutti voi.

domenica 4 marzo 2018

DIMOSTRAZIONE DI FIDUCIA

A quell'appuntamento del destino di tutti erano arrivati da ogni parte del mondo appunto tutti, troppi: agenti segreti o meno, rimestatori di merda, avventurieri, artigiani dell'imbroglio, killer, laureati del delitto e delle porcate.
Ne conoscevo personalmente quattro: Robert Esse l'asburgico, mio fraterno amico, o meglio, mio amichevole fratello; Masul Effe, la palestinese trentenne bellissima, luridona spinta; Wiweka TiAcca, la polacca in vendita perenne e il quarto, cioè Moritz Vu, cioè me stesso.
Mi vedevo stagliato a ridosso di un'altissima porta senza battenti; vedevo Robert Esse appoggiato allo stipite di una porta di fronte alla mia; Masul Effe e Wiweka TiAcca che passeggiavano da un balcone aperto sulla parete di destra dalla mia visuale a quello di fronte, apparentemente mute ma che di certo si mandavano messaggi battendo le ciglia dentro quel salone di uno dei castelli bavaresi forse non ancora finito di pagare da König Ludwig II di Baviera, scelto dagli inglesi per quella scellerata missione finale.
Quattro li vedevo, ma altri quattro li sentivo nei pressi. Non facevano un fiato eppure ronzavano come tafani. Solo una settimana prima eravamo in tutto ottantasei, almeno quelli che avevamo scelto la strada dell'onore rivelandoci in chiaro. 
Rimasti in otto, gli altri estinti in quell'orribile selezione mortifera, settantotto dei migliori eliminati "al piatto" come battitori di squadre di baseball.
Il giorno si sarebbe dovuto concludere con un unico superstite, che non sarebbe potuto essere altri che l'asburgico Robert Esse, il migliore di tutti noi, che stava sempre dalla parte dei giusti. Ma io avevo tutte le ragioni per sperare che con pochi accorgimenti sarei riuscito a fare in modo che i superstiti fossero due perché Robert Esse era il mio migliore amico.
Bisognava eliminare quei quattro del piano di sotto, i tafani ronzanti, in modo che io e Robert Esse ci si trovasse a competere con le due ragazze, la polacca e la palestinese, che contro di noi non avrebbero avuto scampo.
Ognuno di noi era dotato di una corda di violino, di uno spillone da donna avvelenato con curaro, e di un minuscolo pistolino consistente in una leggera canna a scatto unico, ma ricaricabile simultaneamente ad ogni colpo esploso, ben nascosta all'interno della manica sinistra della giacca, tranne la mia minuscola bocca da fuoco che era nella manica destra, dato il fatto che io sono mancino.
Al centro di quel salone ormai da anni vuoto dei mobili, delle statue e delle suppellettili tipiche di Ludwig II troneggiava un pianoforte a coda di nobilissimo lignaggio.
Appena vidi Robert Esse muoversi verso il piano mi misi all'erta. L'asburgico scoprì i tasti premendone uno in modo da emettere una sola nota: un Si bemolle maggiore.
Le due donne a passo veloce attraversarono la porta di fronte alla mia. Breve l'occhiata che mi lanciò Robert Esse, che andò loro dietro seguendole lungo lo scalone che dal nostro ambiente portava al piano di sotto.
Io mi accinsi a chiudere quel trenino.
Sentii chiaramente due spari e quando raggiunsi Robert Esse, Mosul Effe e Wiweka TiAcca era già tutto concluso. 
Un uomo e una donna avevano un buco in mezzo agli occhi, mentre la palestinese e la polacca riannodavano ognuna la sua corda di violino con cui avevano tagliato la testa ai due gemelli croati con la decapitazione inventata nel 1948 da Samuel Borevic, ufficiale del KGB, che consisteva in un cappio fatto scendere dall'alto intorno al collo della vittima tirando i due terminali del cappio verso l'esterno con un unico colpo secco. Con le loro orrende ferite i gemelli croati di cui non ricordavo mai i nomi avevano lordato di sangue buona parte dello scalone.
Non vomito mai e questo mi salva in casi come questo.
Appena vidi Robert Esse farsi strada verso il piano a coda mi preparai a tutto.
L'asburgico suonò con un tocco lieve un'unica nota e lasciò propagare nell'aria di nuovo un Si bemolle maggiore.
Le due ragazze dovettero leggere l'orrore nei miei occhi, perché immediatamente si abbassarono in avanti riformando il cappio e serrando tra le dita le impugnature alle due estremità della corda di violino.
Il mio pistolino brontolò veloce infilando un proiettile del 6,5 in uno degli occhi della palestinese. Precipitò al suolo quasi contemporaneamente alla polacca sulla cui nuca Robert Esse aveva infilato il suo minuscolo, fatale regalo.

Finito. Eravamo di nuovo soli io e Roberto Esse come nelle migliori combinazioni dove il nostro lavoro ci aveva collocati, come quella notte ad Atene di diciotto mesi prima quando era iniziata l'operazione che pochi attimi prima era finita.

Ci guardammo negli occhi: i suoi brillavano come suppongo facessero i miei. Ci avvicinammo, occhi negli occhi. Arrivammo a toccarci coi nostri toraci. Ci riallontanammo sempre tenendoci d'occhio.
Arrivati al piano a coda l'asburgico toccò un tasto, sempre quello che emise la solita nota: Si bemolle maggiore.
Perché proprio adesso?
Mi lanciò un unico sguardo, lungo, intenzionale. Poi si mosse verso il centro del salone e, raggiuntolo, mi volse la schiena, certamente un attimo solo prima di ritornare a guardarmi.
Ma non ne ebbe il tempo.
Tirai fuori dalla tasca sinistra della giacca la mia arma speciale che non falliva mai e lo fulminai.
Il mio migliore amico, il mio fratello su questa terra, l'unico di cui mi fidavo ciecamente, il vincitore insieme a me della prova, il migliore di tutti noi.
Perché?
Ma perché me lo aveva ordinato lui stesso volgendomi la spalle: voleva da me immediatamente una dimostrazione di fiducia e io gliel'ho data.
Doveva esserci un solo vincitore e non potevo essere che io, visto che all'Università degli Agenti Segreti, che avevamo frequentato insieme come il liceo, le medie e le elementari questo avevamo appreso: mai volgere la schiena a chicchesia.
Ecco perché.


Scritto la notte del 24 febbraio dalle 0,15 alle 02,10 nella stanza C-03 del St. Vincentius alt Krankenhaus in Karlsruhe.