Questa è la poesia che stavo scrivendo quando mi è venuta sulla punta della penna l'idea di scrivere il post che questo precede.
Avevo promesso a Daniele Verzetti di postare la poesia e adesso lo faccio.
La scala è buia, vedo appena i primi gradini
ma devo forzarmi a scendere, a scoprire
cosa ci sia là in fondo, perché il buio sale,
tra poco sarà intorno, sopra e dentro di me
e non mi darà più tempo.
All'alba tutto era semplice e bello
perché bevevo ogni cosa che mi veniva
raccontata. Era tutto bello perché
io ero ignaro, non ero libero ma ero felice.
Adesso sono finalmente libero
perché ora sono consapevole e pertanto
sono così infelice.
Ho cozzato contro una muraglia
che mi camminava contro,
ho cercato di scavarci dentro con le dita
per tirarne fuori almeno un mattone,
ho sperato di trovare all'interno sangue
dei miei antenati, e invece
ho trovato solamente ossa di vittime,
urla di vedove, occhi spenti di bambini
mai nati, piste di guerrieri
in marcia guidati da apostati
e traditori, da puttane vestite da suore
del preziosissimo sangue di Cristo,
prelati circondati da orfani
che avevano numeri attaccati sulla schiena
che indicavano l'ordine di entrata
dentro i confessionali, perché fossero purificati
per il loro olocausto.
Ognuno di loro liberava di ombre
la propria innocenza e immolava
la sua virtù su altari di putrefazione,
cullati da pastori che al suono di zampogne
imitavano quelli della grotta fatale
nel fetore dell'urina di un somaro
e delle feci di una mucca,
attendendo miracoli screziati di vizi e lordure
a imitazione ripetuta ogni anno
del loro padrone appena nato
e ogni anno rinato, ed ogni anno sbalzato
fuori dalla sua mangiatoia,
vituperato e osannato come chiunque
che fonda un nuovo partito rivoluzionario,
rischia la morte ogni giorno
per ottenere alla fine la gloria dei santi,
che non può più aiutare né redimere
perché già puzza di morte da un'eternità.
E io non sono in grado di credere,
né di pregare, di osannare né di bestemmiare,
condannando l'infame al ludibrio
delle genti che verranno,
più scaltre di me, più competenti,
più follemente innamorate del nulla
che brucia su tutti gli altari
ripudiati oramai dalle maggioranze
degli uomini, delle donne e degli animali creativi
che con suoni stentorei proclamano
la loro riconquistata libertà di scelta
e di espressione. Animali liberi
da vincoli e lacci, lanciati senza
più prudenza sulle praterie inviolate
ancora della loro incoscienza.
Tra canti e suoni osceni, fischi
e baldracche plaudenti distribuite su ambo
i lati del lungo percorso, dove scalciando
galoppano furiosamente beati
gli stalloni della moderna perdizione.
E noi ce ne restiamo inerti a guardare
le loro piroette, ad applaudirle,
ad ascoltare le sgrammaticature delle
loro bestemmie di incerto conio,
mettendo un segno di consenso
con la Montblanc nuova di zecca,
emettendo fischi di approvazione
e dimenando i fianchi e il culo
che da loro pende flaccido e obeso.
Niente più potrebbe scandalizzarci
dopo che abbiamo fatto a gara
a chi pisciava per primo sulle acquasantiere
delle nuove chiese cattoliche,
ovunque ne avessimo incontrate.
E su quel piscio quasi essiccato i nostri
amici cospargono adesso acque sante e altre
pisciate fresche come fanno i cani
per marcare il loro spazio vitale.
Noi guardiamo, applaudiamo,
sghignazziamo e via di corsa alla ricerca
di nuovi stimoli, dimenticati i vecchi,
col cellulare nuovo nella tasca
posteriore dei pantaloni, che squilla di continuo
e ci avverte dei cambiamenti del vento:
avanti con prudenza, tutto calmo,
un polverone sul fondo ma sta
già cambiando direzione;
tu vira e noi siamo nuovamente salvi,
nella speranza che i nostri figli
crescano buoni pagani, come avremmo
voluto rimanere noi, e così sia.
E adesso vado contro me stesso, i miei principi,
il mio modo di scrivere già antico:
e quindi ripeterò ciò che ho detto all'inizio.
Ero felice quando credevo a tutto
quel che mi veniva raccontato,
il post mortem, gli dei impudichi
e improvvidi, le madonne piangenti,
le sante gementi e galleggianti sopra le miserie.
Non ero libero perché ignaro di tutto, ma felice.
Adesso che ho imparato e vedo dritto
davanti a me sono forse libero
ma infinitamente stanco e infelice.
Maximiliansau, 23 ottobre 2018
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