mercoledì 24 maggio 2017

SOLITUDO

Era bello ascoltarti parlare
guardandoti i limpidi occhi;
ora è triste il silenzio
e la casa non ode il tuo riso.
Trepidando aspettavo
ogni giorno il rumore
dei tuoi passi leggeri.
Entravi danzando
quando da me tu venivi,
e ti ridevano gli occhi;
la tua mano teneva
con garbo la gonna,
mentre lanciata alla danza
il candido petto anelava.

Dicevi che mai m'avresti lasciato:
e tu sei morta
senza dirmi nulla.

Ora senza di me
che farai? Dove andrai?
Nessuno udrà più la tua voce
e forse pel freddo
i tuoi candidi denti tintinnano.


*****

Questa poesia fu da me scritta nell'aprile del 1951 in occasione della morte improvvisa della
migliore amica della mia infanzia, diciassettenne come me, per setticemia.
Si tratta della mia prima poesia da adulto.
Solo per questo la ripropongo oggi, con un po' di nostalgia ed in memoria di Elena.

22 commenti:

  1. Ti ha lasciato un gran vuoto ma tanti ricordi, però.
    Bella elegia Vincenzo.
    Bacio!

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    1. Lo ricordo come fosse ieri: erano le quattro del pomeriggio, minuto più minuto meno; io stavo alla mia scrivania di fianco alla finestra della mia camera e guardavo lo spicchio di Via Risorgimento, che appariva tra gli spigoli di due case contrapposte. In quello spicchio l'avevo vista arrivare quasi ogni giorno a casa mia, dove facevamo i compiti insieme. Era morta da una settimana. Presi una penna e scrissi qualcosa, poco, tanto. Lessi soltanto alla fine.
      "È per te" dissi. E non l'ho più toccata.

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  2. Difficile commentare un dolore così forte che comprendo benissimo. Lo stile è diverso da quello di oggi ma la dolcezza e la sincerità emotiva del tuo dolore sono prorompenti e commuovono chi legge questi versi. Bellissimo il finale da ragazzo forte che si chiede cosa farà lei senza di lui celando così invece la verità della sua solitudine e del suo vuoto senza di lei. Una morte ingiusta che forse ti ha per la prima volta aperto gli i occhi sull'assurdità della vita e delle sue regole talvolta prive di senso.

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    1. Lo stile. Non pensavo di averne uno. Si sente il liceo classico, secondo me. Come ho detto a Pat si è trattato di un impulso irrefrenabile. Ho scritto come veniva, a ruota libera.
      Hai ragione: il finale da ragazzo forte che è tutto un pianto dentro lo vedo anche io. Incredibile come certi lutti a quell'età non si riesca mai a lenirne la sofferenza. A sessantasei anni di distanza sento ancora dentro la fitta al cuore che ebbi quando ci dissero che era spirata.
      Si ha un bel dire che l'uomo sia un ragionatore, l'uomo è un animale emotivo assai, poi lentamente ragiona.

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  3. Quei denti che tintinnano a chiusura sono già segno di grande maturità letteraria, di evocazione del dolore, di incredibile idealizzazione dell'Altrove.. certo lo stimolo è stato grave, ma dentro di te si agitava già il poeta..

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    1. Ho notato dopo molto tempo quel verso onomatopeico del finale.
      Probabilmente è un derivato dal celeberrimo "...quadrungola campos" di Virgilio. Non mi pare di averne poi scritti nella mia maturità. Però ammetto che mi piace quel sentir tintinnare i denti.

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  4. È bellissima e commovente. Grande.
    sinforosa

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    1. Grazie Sinforosa. Concisa e sachlich, in una parola "essenziale".

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  5. Sei bravo Vincenzo, c'è poco da aggiungere. Già giovanissimo riuscivi a vedere "l'oltre".

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    1. Vedere l'oltre credo sia stata da sempre una mia dote natutale. Certamente è dovuta al genere di discorsi che ascoltavo fin da piccolissimo dai miei genitori e da mia nonna. Dormivo in una cameretta accanto a quella di mamma e papà, e la porta rimaneva sempre aperta. Le voci dei miei mi svegliavano e io rimanevo ad ascoltare i loro discorsi, dove parlavano spesso del "dopo". Era un po' la fissazione di mamma.

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  6. Bella prova. Ancora acerba, ma le qualità già si vedevano.
    La ragazzina con la gonna che volteggia mi ha fatto pensare all'adolescenza.
    A quello che abbiamo perso e che, a volte, cerchiamo nel volto dei ragazzi di oggi.
    Con tanta malinconia.

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    1. Era l'adolescenza che se ne andava. Io non potevo saperlo quel giorno di aprile del '51, ma, vista a posteriori, quella morte mi ha fatto diventare di colpo un adulto. Quella visione era un inno nostalgico al tempo più bello che se ne andava. Non esageravo: lei entrava sempre danzando e continuava per un paio di minuti. Io ero un ciocco, ma lei si era intestardita ad insegnarmi a ballare, soprattutto i balli sudamericani. Bravino, ma assolutamente scarso nel cha cha cha, e lei diventava furiosa. "Muovi quelle spalle, le anche, le anche e metti fretta a quel culo di piombo". Era fantastica Elena, soprattutto quando si arrabbiava: le si incupivano i suoi occhi azzurri, diventavano blu mare e arriciavca le labbra come quando hai in bocca qualcosa di agro.

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  7. Bellissima davvero, Vincenzo, soprattutto per come avvicina la vita alla morte, quasi fossero due fondali diversi di un unico palcoscenico, due luoghi ugualmente abitati. L'ho sentito soprattutto nell'ultimo passaggio:

    Ora senza di me
    che farai? Dove andrai?
    Nessuno udrà più la tua voce
    e forse pel freddo
    i tuoi candidi denti tintinnano.

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    1. Forse in quel momento io volevo che fosse solo un brutto incubo, perché era un incubo. Il mercoledì di quella settimana avevamo fatto un compito in classe -mi pare di italiano-; in tre o quattro, quelli che avevano finito prima, ce ne eravamo andati al Pirgo, il nostro stabilimento balneare in città. Ci eravamo tolti le scarpe e passeggiato sulla battigia. Lei aveva fatto uno strilletto. Aveva beccato con un piede qualcosa di metallico nascosto, che affiorava appena. Neanche due goccette di sangue. Un po' aveva zoppicato, un po' aveva riso insieme a noi che la prendevamo in giro. Fine della gita. Il venerdì in classe la prof di matematica l'aveva veduta rossa in viso.
      "Hai una bella febbre, Elena. Meglio se vai a casa".
      "Ciao a tutti", aveva detto, poi passando davanti a me mi aveva fatto una boccaccia: "Ciao brutto". Le ultime sue parole dirette a me.
      Sabato non era venuta. Qualcuno aveva detto che fosse stata ricoverata in ospedale. Andammo prima a casa sua, ma non trovammo nessuno. Erano tutti in ospedale. La madre e la sorella piangevano, il padre averva la faccia del morto.
      Un medico ci disse che stavano fcendole esami, ma che era giovane e robusta.
      Nel pomeriggio della domenica tutta la classe era nel corridoio della rianimazione. Morì all'imbrunire, insieme al giorno. Rimanemmo tutti lì fino a notte, che dovettero cacciarci via. Aveva compiuto 17 anni due mesi prima, il 12 febbraio.
      Certe cose non si dimenticano più.

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  8. E' una poesia bellissima! Semplice (così l'ho capita pure io) ma al tempo stesso carica di emozioni. Complimenti! Ma..nel 1951 avevi 17 anni?

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    1. Sì, avevo 17 anni ed un'immensa carica emotiva dentro, di cui conoscevo forse nemmeno la metà. Ne dovevano passare tanti di accidenti perché io guardassi bene a fondo nella mia bisaccia.
      Credo ci sia ancora qualcosa da scoprire nascosta in fondo.

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  9. Semplicemente stupenda, mi è sembrato per un momento di rivedere la tua amica e il suo sorriso.
    Si vede che la porti ancora nel tuo cuore e questo è bellissimo perché chi muore vive ancora finché qualcuno lo ricorda.
    Un abbraccio, Franny

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    1. Che dire? Ogni volta che mi imbatto in questa poesia, cui sono perticolarmente legato, mi torna su tutto il magone di quella disgrazia. Il complesso di colpa che noi tre, quelli che insieme a lei passeggiarono sulla spiaggia, non finirà mai.
      Un paio di anni addietro a Milano ne ho incontrato uno che non vedevo da anni. Un generale del genio in pensione, pensa tu. Dopo un po' che chicchieravamo del tempo passato senza vederci, lui tacque. Io intuii che cosa stava per dire.
      "Ci pensi ancora?"
      "Non ho dimenticato niente"
      "Voleva diventare pediatra"
      "Sarebbe di sicuro andata con medici senza frontiere"
      Non so quanto tempo rimanemmo ancora seduti in quel bar. Non c'era più niente da dirci. Ci abbracciammo e ci lasciammo così.

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  10. Io ho la stessa età che aveva la tua amica quando è morta, non posso pensare alla morte. Alla mia età dovremmo essere tutti degli dèi invincibili, eppure cadiamo come fragili fiori.

    Ti lascio i versi che mi hai chiesto:

    Lieve opalescente
    luce che filtrava dai
    tuoi occhi,
    freddo era l'abbraccio,
    il tuo letto era
    un sudario.
    Come Cristo sulla croce
    imploravi
    la morte crudele.

    Un abbraccio!
    Luzia

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    1. Bella la tua poesia e molto triste. Quasi non passa sulla tua età -meravigliosa- ma chi sono io, proprio io per dire una simile cosa? Tu invece la dici giusta: alla tua età "...dovremmo essere tutti degli dei invincibili, eppure cadiamo come fragili fiori". Se ci pensi un attimo questi pure sono versi bellissimi.
      Abbraccio Luzia.

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  11. Un poeta in erba , ma già con solide radici che produrranno versi
    potenti, versi che dichiarano il suo legame con la poesia durante le fasi della vita, versi che esterneranno amore e rabbia e rimpianti, versi per dipingere con le parole ciò che lo esalta e lo commuove.
    Cristiana

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    1. L'hai proprio azzeccata. Ero alto una canna e magro come un deportato in Siberia. Volevo fare tutto ma non coagulavo idee e sogni come si deve. La morte di Elena mi ha dato una scossa, una raddrizzata, mi ha fatto capire il vero senso della vita, che avevo dimenticato. Già perché purtroppo l'avevo già capito durante la guerra, ma non ne volevo più tener conto. Il difetto della mia generazione, uscita indenne fisicamente dal conflitto ma privata dalla parte più bella, l'infanzia beata, pertanto sbarellante e insicura.
      Elena lasciandomi mi ha aiutato a diventare adulto.
      Quei versi che erano un grido di disperazione si sono trasformati senza che me ne accorgessi in un impulso a credere in me stesso. Da allora ho probabilmente incominciato a vivere come vivo adesso.
      VIN

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