domenica 4 marzo 2018

DIMOSTRAZIONE DI FIDUCIA

A quell'appuntamento del destino di tutti erano arrivati da ogni parte del mondo appunto tutti, troppi: agenti segreti o meno, rimestatori di merda, avventurieri, artigiani dell'imbroglio, killer, laureati del delitto e delle porcate.
Ne conoscevo personalmente quattro: Robert Esse l'asburgico, mio fraterno amico, o meglio, mio amichevole fratello; Masul Effe, la palestinese trentenne bellissima, luridona spinta; Wiweka TiAcca, la polacca in vendita perenne e il quarto, cioè Moritz Vu, cioè me stesso.
Mi vedevo stagliato a ridosso di un'altissima porta senza battenti; vedevo Robert Esse appoggiato allo stipite di una porta di fronte alla mia; Masul Effe e Wiweka TiAcca che passeggiavano da un balcone aperto sulla parete di destra dalla mia visuale a quello di fronte, apparentemente mute ma che di certo si mandavano messaggi battendo le ciglia dentro quel salone di uno dei castelli bavaresi forse non ancora finito di pagare da König Ludwig II di Baviera, scelto dagli inglesi per quella scellerata missione finale.
Quattro li vedevo, ma altri quattro li sentivo nei pressi. Non facevano un fiato eppure ronzavano come tafani. Solo una settimana prima eravamo in tutto ottantasei, almeno quelli che avevamo scelto la strada dell'onore rivelandoci in chiaro. 
Rimasti in otto, gli altri estinti in quell'orribile selezione mortifera, settantotto dei migliori eliminati "al piatto" come battitori di squadre di baseball.
Il giorno si sarebbe dovuto concludere con un unico superstite, che non sarebbe potuto essere altri che l'asburgico Robert Esse, il migliore di tutti noi, che stava sempre dalla parte dei giusti. Ma io avevo tutte le ragioni per sperare che con pochi accorgimenti sarei riuscito a fare in modo che i superstiti fossero due perché Robert Esse era il mio migliore amico.
Bisognava eliminare quei quattro del piano di sotto, i tafani ronzanti, in modo che io e Robert Esse ci si trovasse a competere con le due ragazze, la polacca e la palestinese, che contro di noi non avrebbero avuto scampo.
Ognuno di noi era dotato di una corda di violino, di uno spillone da donna avvelenato con curaro, e di un minuscolo pistolino consistente in una leggera canna a scatto unico, ma ricaricabile simultaneamente ad ogni colpo esploso, ben nascosta all'interno della manica sinistra della giacca, tranne la mia minuscola bocca da fuoco che era nella manica destra, dato il fatto che io sono mancino.
Al centro di quel salone ormai da anni vuoto dei mobili, delle statue e delle suppellettili tipiche di Ludwig II troneggiava un pianoforte a coda di nobilissimo lignaggio.
Appena vidi Robert Esse muoversi verso il piano mi misi all'erta. L'asburgico scoprì i tasti premendone uno in modo da emettere una sola nota: un Si bemolle maggiore.
Le due donne a passo veloce attraversarono la porta di fronte alla mia. Breve l'occhiata che mi lanciò Robert Esse, che andò loro dietro seguendole lungo lo scalone che dal nostro ambiente portava al piano di sotto.
Io mi accinsi a chiudere quel trenino.
Sentii chiaramente due spari e quando raggiunsi Robert Esse, Mosul Effe e Wiweka TiAcca era già tutto concluso. 
Un uomo e una donna avevano un buco in mezzo agli occhi, mentre la palestinese e la polacca riannodavano ognuna la sua corda di violino con cui avevano tagliato la testa ai due gemelli croati con la decapitazione inventata nel 1948 da Samuel Borevic, ufficiale del KGB, che consisteva in un cappio fatto scendere dall'alto intorno al collo della vittima tirando i due terminali del cappio verso l'esterno con un unico colpo secco. Con le loro orrende ferite i gemelli croati di cui non ricordavo mai i nomi avevano lordato di sangue buona parte dello scalone.
Non vomito mai e questo mi salva in casi come questo.
Appena vidi Robert Esse farsi strada verso il piano a coda mi preparai a tutto.
L'asburgico suonò con un tocco lieve un'unica nota e lasciò propagare nell'aria di nuovo un Si bemolle maggiore.
Le due ragazze dovettero leggere l'orrore nei miei occhi, perché immediatamente si abbassarono in avanti riformando il cappio e serrando tra le dita le impugnature alle due estremità della corda di violino.
Il mio pistolino brontolò veloce infilando un proiettile del 6,5 in uno degli occhi della palestinese. Precipitò al suolo quasi contemporaneamente alla polacca sulla cui nuca Robert Esse aveva infilato il suo minuscolo, fatale regalo.

Finito. Eravamo di nuovo soli io e Roberto Esse come nelle migliori combinazioni dove il nostro lavoro ci aveva collocati, come quella notte ad Atene di diciotto mesi prima quando era iniziata l'operazione che pochi attimi prima era finita.

Ci guardammo negli occhi: i suoi brillavano come suppongo facessero i miei. Ci avvicinammo, occhi negli occhi. Arrivammo a toccarci coi nostri toraci. Ci riallontanammo sempre tenendoci d'occhio.
Arrivati al piano a coda l'asburgico toccò un tasto, sempre quello che emise la solita nota: Si bemolle maggiore.
Perché proprio adesso?
Mi lanciò un unico sguardo, lungo, intenzionale. Poi si mosse verso il centro del salone e, raggiuntolo, mi volse la schiena, certamente un attimo solo prima di ritornare a guardarmi.
Ma non ne ebbe il tempo.
Tirai fuori dalla tasca sinistra della giacca la mia arma speciale che non falliva mai e lo fulminai.
Il mio migliore amico, il mio fratello su questa terra, l'unico di cui mi fidavo ciecamente, il vincitore insieme a me della prova, il migliore di tutti noi.
Perché?
Ma perché me lo aveva ordinato lui stesso volgendomi la spalle: voleva da me immediatamente una dimostrazione di fiducia e io gliel'ho data.
Doveva esserci un solo vincitore e non potevo essere che io, visto che all'Università degli Agenti Segreti, che avevamo frequentato insieme come il liceo, le medie e le elementari questo avevamo appreso: mai volgere la schiena a chicchesia.
Ecco perché.


Scritto la notte del 24 febbraio dalle 0,15 alle 02,10 nella stanza C-03 del St. Vincentius alt Krankenhaus in Karlsruhe.














22 commenti:

  1. Dovunque tu sia, in quasi qualunque condizione ti trovi, la tua arte e la tua ispirazione per fortuna non ti abbandonano mai. Grazie di questa perla.

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    1. Mi stavo riprendendo e da qualche giorno mi frullava st'idea strana. L'ho scritta a penna una notte in cui non mi riusciva di prendere sonno, e forse un po' si sente. Ho voluto trascriverla e metterla sul mi blog, per andarmela a riguardare quando sarò lucido abbastanza da farmici magari due risate.
      Grazie dei tuoi apprezzamenti, Daniele, che sono assai graditi.

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  2. Bravo come sempre Vincenzo.
    Vorrei dirti altro ma mi fermo qui.
    Abbraccio grande!

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    1. Peccato tu ti sia fermata, avrei voluto sentire il resto, ma va benissimo così, ragazzina mordace.
      Ciao e grazie.

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  3. Bello, avevo capito che c'era un tradimento imminente e non mi hai deluso.
    Comunque io voglio frequentare l'Università degli Agenti segreti :-)
    Un abbraccio, sperando che tu stia meglio.

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    1. Beh, tra agenti segreti ci si tradisce sempre un po'.
      Non l'ho nemmeno riletto, data l'ora, rimandando al domani. Poi è successo qualcosa. A casa ho deciso di postarlo senza correzioni, per vedere quello che avevo combinato.
      Ho scritto di peggio, ho scritto di meglio; ma io sto sempre su quel che faccio.
      Mi fa piacere che sia stato finora apprezzato.
      Grazie.
      Vai all'Uni degli agenti segreti. Penso che riusciresti benissimo a laurearti con un bel 110.

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  4. Vedi? Il ricovero ti costringe a una situazione di disagio, in compenso ti restituisce una grande ispirazione. 😉🤗

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    1. Grazie Marina. L'ho scritto di notte mentre non riuscivo a chiudere occhio. È la cosa più ardua: prendere sonno e tirare fino alle sei quando arriva tutta la tribù di medici e personale. Io stavo ore ed ore ad occhi serrati, mugugnando idee. Poi alle quattro -minuto più minuto meno- crollavo come un orso.
      Grazie Marina.

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  5. Bello! Tipo Le Carrè :) o saranno stati i medicinali? ahahahahha
    No, sei proprio bravo!

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    1. I medicinali?!?!?
      Ti morderò sul collo, prima o poi
      :-)))

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  6. Questo gioiellino è un bell'esempio di come tortuosamente ragionano e agiscono quelli dell'intelligence.
    E tu; avresti mostrato la schiena?
    No mi arrivano più gli avvisi dei tuoi post, né quelli di Daniele.
    Boh, prova a iscriverti tra i miei followers, non ci sei più
    A presto, spero.
    Cri

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    1. Verissimo, brava: intendevo proprio questo.
      Adesso controllo, ma credo di esserci dentro.
      Che significa "spero"?
      Son sempre qui per te.
      Lo sai.
      VIN

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  7. Vedo che il tuo istinto amaro di scrittore non perde mai i sensi nemmeno nelle situazioni più critiche!
    E bravo Enzo.

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    1. Penso proprio che in quella situazione il mio "istinto amaro di scrittore" mi abbia aiutato molto ad affrontare un vicolo buio ed insidioso che inizialmente sembrava senza uscita alcuna. Ho parlato "da solo" con ciascuna di voi, con ciascuno di voi, con te in particolare, addirezzura litigato, come spesso ci è capitato, e sono certo che questa attività cerebrale mi abbia molto aiutato.
      Grazie Mari.

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  8. In uno dei commenti precedenti ho letto la parola tradimento, ma faccio fatica a chiamare così il gesto di Esse, troppo consapevole di ciò cui andava incontro, troppo "irrimediabile" l'esito di quel volgere le spalle. A me dà più l'idea di uno scambio, di una complicità, difficile da inquadrare in un contesto cosiddetto normale, se non fosse che questo da te descritto non è un contesto "normale"...o no?
    Complimenti, Vì!

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    1. Mi sono sempre piaciuti i racconti dove la soluzione spesso è lasciata alla sensibilità del lettore. Come chiedersi: cosa c'era veramente sotto?
      Vedo che ci sei arrivata, complimenti a te.

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    2. Lasciare la porta socchiusa all'interpretazione è, secondo me, una delle migliori abilità nell'arte del raccontare, oltre che una dimostrazione di "tenuta da conto" del lettore...mi sa che ci faccio un post-ino!

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    3. Quoto le tue parole una per una: io ho sempre tenuto in gran conto l'opinione del lettore e la sua capacità interpretativa. Scrivo per essere letto non perché ho un morbo al braccio.
      Mi piace l'idea del post-ino.

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  9. È molto intimista come novella. Interessante il concetto di fondo.
    complimenti ispira a molti ragionamenti personali e non...

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    1. Io l'ho considerata intrisa delle ultime avverse cose che mi erano capitate e non ancora finite mentre la scrivevo. Racconto ospedaliero. Non mi era ancora capitato.
      Mi fa piacere leggere la tua ultima frase: da autore è musica per le mie orecchie.
      Grazie, Anna.

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