domenica 5 febbraio 2017

SCHERZO EMOTIVO


Sopra un ponte ti ho lasciata,
sotto un altro ritrovata,
eri bella ma emaciata,
masticavi assai truccata
chewings gum.

Io di te più non mi fido
nel futuro non confido
e non chiedere perdono,
la fiducia è un caffè buono
che amaro devi bere
ma se zucchero ci metti
dopo tieni i denti stretti
ché lo zucchero ha il potere
di infilarsi dappertutto
e se poi lo bevi tutto
zuccherato avrai ammalato
le genfive per un anno
procurandoti un gran danno.

E comunque io non mi fido
più di niente e di nessuno.

Non mi fido delle donne
che si dicono mie amiche,
di lontan mi fan le fiche
poi invece da vicino
lor mi fanno il sorrisino.

Non mi fido degli amici
che mi invitano a un traguardo
poi con fare assai beffardo
nascondendomi ogni mossa
lor mi scavano la fossa.

Né sorella o madre o figlia
ché si scuce la famiglia
per pecunia o gelosia,
per invidia o bramosia
ché si è fatta una frittata
di una pace consacrata
dalle leggi di natura
e rifarla è cosa dura.

Né fratello o padre o figlio
mai poter prender consiglio
ché la botta in testa è certa,
non si fa una gran scoperta.

Sol dei morti al cimitero
lì mi fido e son sincero
anche se maledizioni
mi mandassero a vagoni
io mi attacco ai miei marroni,
faccio corna e sputo in terra
e così vinco la guerra
respingendo ogni veleno.

Ma ora basta: il sacco è pieno.


***

Maximiliansau, 5 febbraio 2017

***

11 commenti:

  1. Si ma torna al verso libero.. la rima spesso incatena e costringe alla banalità, anche se pensi che nessun se ne accorgerà.

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    1. Ogni tanto mi si piglia l'uzzolo, mi sfruguglia insomma e mi ci diverto. Era venuta la prima rima baciata e ho tirato avanti. In questo caso le banalità si rincorrono, ma tanto non era una cosa seria, come dicono i franciosi "un divertissement". Ti è venuta facile anche a te: banalità...accorgerà. Non fa una grinza.

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    2. Ma io apposta rimai.. cosi ti feci il verso con un altro verso ;)

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    3. Notato per l'appunto. A volte è carino.

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  2. Mi hai fatto ridere. Divertente senza avere troppo da comprendere. Leggendo Franco e te do ragione ad ambedue: la rima può costringere alla banalità ma se lo scopo è far sorridere ci si riesce in pieno. Bacione.

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    1. Ti leggo e rido. È giusto ciò che dici e come lo dici, ma a me viene da ridere pensando a Dante. Boccaccio dice nel "Tratterello" che a volte stava giorni per rifare un verso, dato che erano terzine incatenate fra loro (a.b.c; b.d.b; d.e.d. e così via). Ridevo perché pensavo a noi che discutevamo di banalità delle rime mentre lui nella sua tomba di Ravenna si rivoltava e rigirava furibondo. Sai quante ce ne ha mandate a dire...in terzine concatenate.
      Ah ah ah ah ah!! Siamo dei profanatori, Mariè.

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    2. Errore mio: erano a.b.a - b.c.b - c.d.c. e così via. Io ho scritto alla cavolozzo fritto.

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  3. ...ehi! ma i cavolozzi fritti con la pastella sono una bontà!

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    1. Veramente "cavolozzo fritto" era il massimo delle parolacce che dicevo io da piccolo, diciamo dai quattro anni in su, perché tutto quello che finiva con la doppia zeta -zozzo, puzza, puzzone, bacarozzo, ficozza e quindi cavolozzo- mi faceva crepare dalle risate. Figurati quando a scuola qualcuno ha detto qualcos'altro con l'artiglieria pesante, le risate senza sapere cosa fosse. Me lo sono rivenduto immediatamente a casa mia riservato a mia nonna. Ricordo benissimo i suoi occhi fuori dalle orbite, la bocca spalancata e poi non ho visto più niente perché mi è arrivato uno sciacquadenti proprio sulla bocca. Ho ancora adesso le labbra gonfie.

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