martedì 9 maggio 2017

LA PAZIENZA


La pazienza di tentare ostinatamente
di cambiare ciò che è immutabile; 
cercare di arrampicarmi lungo le volute
del fumo di quella sigaretta
che ormai sono trentacinque anni che
non aspiro; il martellare
sul tamburo colorato della memoria, atono
da non emettere più ritmi,
il timbro caldo della canzone antica che  non
ricordo; l'odore acre della pioggia
sulla lamiera di una tettoia di notte
in un cortile di qualche posto;
la solitudine dentro un'imbottita di lana
nera con sopra stampati grandi fiori azzurri
in un atelier di Francoforte sul Meno
durante una notte di Capodanno mentre
esplodevano i cieli sopra casa mia.

E non saper nemmeno piangere.

Piove.


***
Maximiliansau, 25 marzo 2017

***

28 commenti:

  1. Ma come... 35 anni di fumo senza aspirare? E che lo fai affa'???
    Io ho smesso da 25 e ancora mi manca (lo dico piano che non si senta troppo in giro).
    La pazienza di non volere cambiare mentre facciamo finta che vada bene così.
    L'ultima rima è così forte nella sua amarezza che mi ha lasciato senza parole...
    Bellissima.

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  2. No Mariella. Io ho scelto una forma poetica per dire che sono 35 anni che NON fumo, che non accendo una sigaretta e quindi non ne aspiro il fumo. Che fai? Mi sorvoli a bassa quota e non mi trovi? :))
    "La pazienza di non cambiare mentre facciamo finta che vada bene così". Vedi che mi hai trovato?
    Stupenda la tua ingenuità, veramente molto bella.

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    1. Ehm non ho capito nulla, quindi. Starò attenta la prossima volta prima di commentare. Non sopporto che mi si sia dell'ingenua; mi da veramente fastidio... te lo dico perché posso😉

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    2. L'ho definita stupenda perché lo è. Ti ho vista mentre sussultavi leggendo quel che avevo scritto. In effetti a prima vista sembra proprio che tu abbia ragione. La colpa è in un certo senso mia, lo ammetto. Mi è piaciuto il tuo stupore, l'avermi visto circolare con una sigaretta spenta in bocca, ma non hai detto una bestemmia. Ho conosciuto gente che circolava con un mezzo sigaro spento perché non poteva fumare più ma nemmeno fare a meno del tutto; altri con un eterno stecchino in bocca. Io, da parte mia, i primi tre mesi sono ingrassato otto chili, perché dovevo mettere qualcosa "umbedingt" in bocca e ci cacciavo continuamente cibarie.
      Mi hai ricordato tutto questo, soprattutto le mie prime settimane di astinenza e mi è venuto da ridere, ma non su di te, ci mancherebbe.
      Comunque puoi incavolarti e dirmene quattro. Non mi arrabbio.

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    3. Io ho mangiato chili di cioccolata quando ho smesso. Sono ingrassata fino a quando non sono passata ad un altro problema ovvero un fidanzato che mi tradiva. Allora è successo l'inferno. Finita la cioccolata sono partiti gli insulti. E la vendetta. ahahah
      Non mi arrabbio nemmeno io, ma non provarci più ;)

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    4. Sai che ti ci vedo che ingozzi cioccolata e diventi giorno dopo giorno una culacchiona? Credo che la ciccia ad abundantiam sia la penale da pagare quando si vuole smettere di avvelenarsi con nicotina e catrame combusto.
      Poi è arrivato il chiodo scacciachiodo.
      Un fidanzato fedifrago? Tradiva te? Ma come poteva? Riesco a stento a pensare quali insulti tu abbia raschiato da dentro di te per sderenarlo. E la vendetta? Oddio, che gli avrai mai fatto? Mamma mamma!

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    5. Particolarmente übelnehmerisch, nicht war?
      Dai, lo sai che scherzo....:))

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  3. La pazienza dell'accettare l'impossibilità di riuscire o essere riusciti a cambiare alcune realtà passate. Ricordi quasi sbiaditi, forse volutamente non chiari perché dolorosi. Ricordi che tenti di afferrare e riassaporare con il suono di quei momenti ma anche la resa nel non riuscire ad ascoltare più il ritmo della vita di un tempo. Ci trovo molta nostalgica malinconia in questi versi e quella amarezza finale che ho trovato sublime. Poche pennellate per un altro quadro d'autore.

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    1. Un commento che ho sentito molto. Hai assolutamente centrato il motivo dominante:"la pazienza dell'accettare l'impossibilità di riuscire o essere riusciti a cambiare alcune realtà passate". Sono appunto solo ricordi, dolorosi, che sfuggono nella nebbia, che tuttavia mi fanno provare la nostalgia per certi momenti, anche per certi errori.
      Evidente ho dentro di me molta amarezza per qualcosa che non sono riuscito ad ottenere. A volte ho l'impresione che tu riesca a leggere dentro di me meglio di quanto sia capace io stesso.

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  4. In parole povere e meno poetiche... la pazienzs di vivere,
    Bella poesia, herr Iacoponi 😆

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    1. Forse sarebbe meglio saltare il fosso e dire la pazienza di sopravvivere. A cosa, chiedi tu? A se stessi, rispondo io.
      Cerea, piemontesina.

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    2. Guarda che sopravvivere a se stessi è un impegno notevole eh...😊

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    3. Ci sto attivamente provando da un sacco di tempo, ma non intendo sopravvivere fino a 150 anni, ma per sempre.
      Magari solo nei ricordi dei parenti più stretti e degli amici veri.

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  5. La pazienza di reimparare a piangere. Ce la puoi fare.

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    1. Bravo! Questa non se l'era pensata nessuno. Purtroppo temo di non riuscire. Il rubinetto è chiuso da tempo immemorabile, si deve essere arruginito tutto dentro.
      Ma, si vedrà.

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  6. Sai cosa ci ho letto nella tua poesia?
    La solitudine, ma meglio sarebbe scrivere "il ricordo della solitudine", intendo quel particolare ricordo, spesso colorato di un fascino inspiegabile.
    Forse accade perché il ricordo della solitudine somiglia molto alla nostalgia, alla malinconia, insomma, a quelle particolari condizioni dell'animo che, anche se "dolorose" sul momento, possono rappresentare poi, nel ricordo, qualcosa che ha molto a che fare con...l'arte...
    Che ne pensi?

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    1. Sì certo, anche la solitudine, o come dici tu "il ricordo" della solitudine. Non sai quanto tu ci abbia azzeccato. La mia vita è fatta come la canna di un'arma da fuoco, tutta pieni e vuoti. Come la rigatura di un fucile, che è elicoidale, il segno che produce l'andamento altalenante della vita di ciascuno di noi, della mia in particolare. Accanto a momenti di gloria giacciono momenti non di calma piatta ma di profondo nero. Uno su tutti: quello che riporto nel finale. Una notte di capodanno passata nel mio atelier-dormitoio dove solo come un verme sul ghiaccio ascoltavo i "botti" senza nemmeno la voglia di vedere attraverso le enormi due vetrate le scie luminose e colorate nel cielo scurissimo. Avevo solo tre giorni liberi da passare con moglie e figli in Friuli, ma non avevo sufficienti soldi per affittarmi una macchina e fare quel viaggio; nemmeno i soldi per uno straccio di regali. Il periodo più scuro e lacerante della mia prima parte da emigrato.
      Verso le tre di notte ho buttato le gambe fuori da letto ed ho dipinto tre quadri, due veramente belli, venduti al volo con molti soldi incassati. Ma la festa era finita, il tempo libero pure. Questo collima con la tua idea che "condizioni dolorose" possano rappresentare la pista di lancio dell'arte.
      Come vedi penso che tu abbia ragione.

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  7. piangere.... per tanto non l'ho fatto tenendomi tutto dentro ma da quando riesco a farlo ...che liberazione! E mi sento di ricominciare a Vivere, non sopravvivere

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    1. Beata te che ci riesci -i vantaggi di essere e di sentirsi donna, che poi significa i vantaggi di essere se stessi- ed hai ragione: il pianto ti libera e ti solleva dal suolo.
      Devi ricominciare a vivere, ogni volta, e non badare a quello che dice Iacoponi: lui però intende questo quando parla di sopravvivenza, credi a me.

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    2. E continua a scrivere come scrivi, ché hai un tuo stile. Non è da tutti.

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  8. Ciao Vincenzo, eccomi qui sul tuo blog.
    Non so quale sia il tuo vissuto ma trovo che questa poesia sia forte come un pugno nello stomaco. Anche io, per diversi motivi, mi sono ritrovata a non poter mai sfogare il dolore con le lacrime ma a trovare in esso la forza per andare avanti con le unghie e con i denti.
    Pertanto non posso fare altro se non apprezzare i tuoi versi.
    Un abbraccio, Franny

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    1. Bella entrata, veramente. Il mio vissuto è un'altalena; l'unica cosa veramente positiva sono state le catene che sorreggevano il seggiolino, veramente solide, pertanto nessuna gropponata al suolo. Ho disimparato a piangere da piccolo: quando gli altri piangevano io ridacchiavo a bocca storta. Frutto di un'educazione antica basata sul "tu sei un maschio non una femminuccia". Mi pareva che tutti guardassero solamente me, per cui ho ingoiato lacrime fino ad ingozzarmene. Adesso non mi vengono più. Ci sono stati però momenti in cui presentavo una faccia di bronzo ma dentro ero tutto un urlo.
      Grazie Fanny.

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  9. La pazienza, questa sconosciuta .
    Mando ormai tutto a fa'n culo : ricordi rimpianti e cose del genere non esistono più.
    Cri

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    1. Ma come sei cattiva? Ti ha punto l'Ape Maja?
      Parlo io che sono notissimo nella stretta cerchia famigliare per sbuffare ogni secondo, anche quando devo sciogliermi i lacci delle scarpe. Sì, spesso la pazienza è un vincolo, Cris, ma dire che "ricordi, rimpianti e cose del genere non esistono più mi sembra eccessivo. Ci sono cose, sensazioni che rimangono sempre vive e immagini che non sbiadiscono nel tempo, che sono come le lucine dei cimiteri: le vedi da lontano mentre passi veloce facendoti -alcuni, non tutti- il segno della croce.

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